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L’eleganza del riccio

L’eleganza del riccio

riccio

Muriel Barbery, Mondadori 2008
Era tanto tempo che non leggevo un romanzo scritto così bene – proprio bello nel senso estetico del termine, bella la prosa, la struttura, la lingua. Opera prima di un’insegnante di filosofia, è diventato un caso letterario in Francia e direi che lo si può decisamente definire un romanzo “francese”. Per l’eleganza, la sofisticatezza, la raffinatezza, e anche per quella piccola punta di snobismo che è il marchio di fabbrica dei francesi, noblesse oblige.
Le protagoniste, Renée e Paloma, sono personaggi straordinari ognuna a modo suo, la prima è una portinaia di mezza età in un elegante palazzo borghese che nutre in segreto la sua grande passione per la letteratura, la filosofia e l’arte, la seconda è una dodicenne dall’intelligenza acutissima che critica con lucidità la mediocrità dell’ambiente in cui vive e che ha deciso di uccidersi nel giorno del suo tredicesimo compleanno per sfuggire alla miseria intellettuale e spirituale del mondo che la circonda. Sono due figure anomale e per questo condannate alla solitudine, in un mondo di volgarità al quale non hanno nessuna intenzione di conformarsi. Mentono per paura, si mostrano per ciò che non sono per ingannare gli altri, fino a che non si incontrano, e si riconoscono. L’amicizia del signor Kakuro Ozu, raffinatissimo e misterioso giapponese capace di individuare immediatamente l’animo reale di Renée e della sua gemella Paloma, le aiuterà a risolvere le loro difficoltà esistenziali e a trovare la giusta dimensione per avere relazioni reali col mondo. Il finale è del tutto inatteso, ma è forse la parte più coinvolgente e toccante dell’intero romanzo.
Mi ricorderò di Renée, portinaia coltissima e di grande sensibilità, anche se non mi è particolarmente piaciuto il dénouement del suo segreto – un po’ banale, avrei preferito continuare a pensare alla sua filosofia di vita come a una personale scelta di difesa, che si scioglie come neve al sole di fronte al calore umano di chi ci accetta per come siamo. E ricorderò certamente Paloma, deliziosa bambina che attraverso i suoi occhiali rosa vede la vita buia di tutta la gente mediocre che incontra. Eppure quanto cuore dimostra non appena riconosce esseri speciali come Renée e Ozu, e quanto generosamente investe le sue emozioni nel momento in cui sente di essere capita e amata per quello che è.
Un romanzo anomalo che spinge alla riflessione, e fa venire voglia di rileggere intere pagine solo per il gusto di sentirle risuonare ancora.
La mia scena preferita: la scena finale di Renée, con le sue riflessioni strazianti e dolci a un tempo, straordinariamente capaci di arrivare al cuore – leggi e sei trascinata e non puoi fare a meno di andare avanti, e intanto vorresti non arrivare mai alla fine.
La frase che ricorderò:
Il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando. E’ l’effimera configurazione delle cose nel momento in cui ne vedi insieme la bellezza e la morte.
Ahi ahi ahi, ho pensato, questo significa che è così che dobbiamo vivere ? Sempre in equilibrio tra la bellezza e la morte, tra il movimento e la sua scomparsa ?
Forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono.

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