L'importante non è cosa guardi, ma cosa vedi
 
Mercoledì 17 giugno: – Aran Islands – Inishmore – Clifden

Mercoledì 17 giugno: – Aran Islands – Inishmore – Clifden

Ottima notte alla Riverwalk House immersa nel silenzio della campagna, e ottima colazione Full Irish nella meravigliosa sala dalle pareti a vetri con vista sul giardino fiorito. Uova, bacon, pomodoro, salsicce, pudding bianco e nero ma anche piccoli funghi grigliati riempiono i nostri piatti sul tavolo apparecchiato con grande cura, insieme a caffè, tè, latte, cereali, frutta fresca, succhi di frutta a scelta e biscotti secchi. Una gioia per gli occhi oltre che per il nostri stomaci affamati… full-irish_0.jpg Mentre spazzoliamo tutto quel ben di dio profumato chiacchieriamo con la signora Ann raccontandole della incredibile giornata che abbiamo trascorso ieri a Galway, con la festa alla casa di Nora e il reading e la giornalista e tutto il resto, e lei sembra molto contenta che questa esperienza ci sia piaciuta così tanto. Purtroppo non ci possiamo dilungare con lei quanto vorremmo perché anche il programma di oggi è intenso, ma alla fine, quando carichiamo le nostre cose in auto e paghiamo (riverwalk@eircom.net 35,00 € a testa – voto 5/5) la signora ci fa una piacevole sorpresa regalandoci un bel magnete con la foto della sua splendida casa e del giardino da conservare come ricordo del nostro soggiorno lì. Non che ce ne fosse bisogno, non l’avremmo dimenticato in ogni caso, ma lo accettiamo con grande piacere e speriamo davvero che un giorno potremo tornare a trovarla in questa zona spettacolare. Da Oughterard ci spostiamo in auto verso la costa fino al piccolo porto di Rossaveel, dove arriviamo in una ventina di minuti attraverso un paesaggio da favola. Lì parcheggiamo l’auto in un grosso spiazzo vicino al molo e facciamo i biglietti per il traghetto che ci porterà a Inishmore, la più grande delle tre Aran Islands comprese nella Baia di Galway. Mi piace sempre visitare “l’isola dell’isola” quando è possibile, ci è capitato altre volte in passato e alla fine si è sempre rivelata un’esperienza speciale, quindi non ce la vogliamo perdere neppure questa volta. Il piccolo traghetto, esclusivamente per passeggeri e non per mezzi di trasporto, salpa da Rossaveal alle 10,30 con ritorno previsto per le 17,00 (www.aranislandferries.com/times_mor.php 25,00 € a testa A/R). Il cielo è nuvoloso, piove leggermente e l’aria è fresca, ma il mare è calmo e la traversata non dura più di 45 minuti, che con mio grande sollievo filano via lisci. L’isola ingrandisce lentamente davanti a noi in un misto di verde e roccia, allungandosi sulle acque limpide. Un piccolo faro bianco su uno scoglio di fronte al porto ci segnala che siamo vicini all’approdo. Il tempo di scendere a terra nel piccolo paesino di Killronan e veniamo letteralmente assaliti dai noleggiatori dell’isola, che offrono ai visitatori giornalieri i loro prezzi speciali per il noleggio di biciclette, pulmini e calessini, o per gustare le specialità dei ristoranti locali. Non ci aspettavamo questa accoglienza vivace che rasenta quasi l’invadenza e lì per lì siamo un po’ indecisi, in effetti non sappiamo ancora bene quale potrebbe essere la proposta migliore per la giornata. Dopo qualche esitazione mi lascio convincere dallo spirito di avventura di Luca, per niente attratto da quei furgoncini stile navetta di Hotel che vorrebbero scarrozzarci in giro a finestrini chiusi, e decidiamo per il noleggio di due biciclette (8,00 € a testa tutta la giornata) bike-rental.jpg, anche perché il noleggiatore ci conferma che la via costiera è abbastanza piatta e non presenta difficoltà particolari. Dalla mappa che abbiamo notiamo che una via circolare tipo “Ring of Inishmore” costeggia tutta l’isola, che nonostante sia la più grande delle tre misura circa 14 km per 4 ed è quindi visitabile tranquillamente con una bici, grazie anche al fatto che nel frattempo il cielo si è schiarito e un pallido sole è tornato a farsi vivo. Cominciamo il giro in senso orario risalendo la stradina dietro ai negozi principali del porto, e sulla sinistra troviamo subito una piccola costruzione che attira la nostra attenzione. E’ una casetta bianca e azzurra, con gli infissi di legno, le tende bianche alle finestre che danno sulla strada e il tetto spiovente, nulla di particolare così a prima vista se non fosse che sopra il portone d’entrata c’è una grossa insegna azzurra a segnalare che si tratta della sede locale della Banca d’Irlanda. Deve essere la filiale bancaria più piccola del mondo, o roba simile… assolutamente deliziosa. Un signore è in piedi davanti a una delle due finestre, la bici appoggiata al bordo del davanzale, sembra affacciato verso l’interno, solo dopo esserci avvicinati di più capiamo che sta semplicemente facendo un’operazione al bancomat. banca.jpg Questa terra non smetterà mai di stupirci, ormai ne siamo certi. Lì vicino, sul lato opposto della strada, troviamo un’altra piccola meraviglia, sono i resti ben conservati di una minuscola chiesetta senza tetto con finestre a sesto acuto ormai senza vetri, che pare posata su un tappeto d’erba all’interno di un piccolo recinto di pietre murato a secco. chiesa_0.jpg Continuiamo a pedalare lentamente e oltrepassiamo un pub dal muro esterno tutto decorato, per arrivare in uno spazio più ampio dove finalmente il panorama si allarga fino al mare. Numerosi muretti a secco disegnano geometrie irregolari sul terreno scosceso segnato dai continui affioramenti calcarei che spuntano tra l’erba fitta. Bellissimi cottage isolati sono sparsi qua e là nella campagna, alcuni con giardini pieni di fiori selvatici e recinti in pietra dove pascolano cavalli in libertà. horse.jpg E’ una visione di sogno che lascia incantati: erba, rocce, fiori, e cavalli liberi a pochi metri dal mare. Sopra, il cielo carico di stormi di nuvole che si rincorrono veloci, sullo sfondo il profilo scuro e netto di una terra grande e montagnosa, vicina e irraggiungibile come un miraggio. E tutto intorno, il mare di un blu intenso. Spettacolare. Continuiamo a pedalare mentre la fatica si fa sempre più sentire, almeno per quanto mi riguarda, e in breve intuiamo che la strada che ci aspetta è tutt’altro che piatta come ci avevano detto. Adesso capisco perché ci hanno dato delle Mountain bike… Luca ride della mia osservazione e continua a pedalare come niente fosse, mi domando dove trovi tutta quell’energia, a volte mi sembra anche lui uno di quei folletti magici che si dice abitino i boschi d’Irlanda… La salita si fa sempre più ripida a mano a mano che andiamo avanti, il terreno sale verso la collina sulla quale si trovano i ruderi dell’antico faro dell’isola, che è la nostra prima tappa del giro di visita. Mi viene da ridere all’idea che la strada sia tutta così, non sono mica certa di potercela fare – andiamo, sono una segretaria io, passo la vita seduta su una sedia imbottita che ha pure le ruote e il mio unico attrezzo per gli esercizi è il ferro da stiro… come si può immaginare che possa scalare un’isola ! E poi più rido più mi mancano le forze per pedalare… Meno male che la bellezza del panorama mi fornisce una scusa più che valida per soste frequenti dedicate a scattare foto (e a respirare un po’…). A tratti pedalo a tratti scendo e spingo la Mountain bike su per le salite più dure, e intanto penso a un bel discorsino di ringraziamento da fare stasera al tizio del noleggio – sempre se sarò ancora viva… salita.jpg Luca intanto si diverte un mondo a scorrazzare qua e là mentre mi aspetta, beandosi del panorama e del vento, che almeno ci rinfresca un po’. Cerco di fare del mio meglio tra una battuta e una foto, e una sensazione di sollievo mi invade quando sento la sua mano posarsi sulla mia schiena e spingermi per aiutarmi a pedalare nei tratti più ripidi. In quel momento la fatica svanisce, e so che con il suo sostegno potrei arrivare dovunque. Lo faceva anche quando scarpinavamo su per le salite di La Digue, solo che lì indossavamo un costume e c’erano 30 gradi… Superiamo una coppia di ragazzi con le nostre stesse difficoltà dovute alla strada, che però, a giudicare dalla ragazza con i pantaloni viola che protesta petulante a ogni pedalata, sembrano divertirsi molto meno di noi. Ad un certo punto individuiamo finalmente sulla nostra sinistra la stradina laterale che sale su al vecchio faro, e dire che “sale” in effetti non rende abbastanza l’idea. La pendenza è così forte che diventa impossibile portare le bici fin lassù, così le leghiamo insieme con il lucchetto che ci è stato fornito e le lasciamo vicino a una costruzione posta a metà strada continuando a piedi, tra sassi e caprette incuriosite. La torre del vecchio faro in pietra sorge ancora pressoché intatta in cima alla collina, a più di 400 mt sul livello del mare, manca soltanto tutta la parte della lanterna. Accanto restano tracce dell’antica abitazione del guardiano, assai diroccata, risalente circa al 1818 quando il faro cominciò la sua opera di segnalazione ai naviganti. old-lighthouse.jpg Pare però che la sua posizione situata così in alto, in questa zona di grandi umidità e nebbie persistenti, lo rendesse invisibile dal mare e quindi inutile, tanto che neppure 50 anni dopo la sua costruzione il faro cessò la sua attività, sostituito da uno più funzionale costruito sulla piccola Inisheer (www.unc.edu/~rowlett/lighthouse/irlw.htm). lighthouse-2.jpg Certo è che, funzionale o meno, il panorama da lassù, con la distesa d’erba della brughiera racchiusa nella griglia irregolare dei muretti di pietra che si allungano fino al mare azzurro, vale da sola la scarpinata, anche oggi che il cielo è molto capriccioso e ci regala di nuovo pioggerella alternata a sprazzi di sole. view.jpg Un clima tipicamente isolano che rende l’atmosfera più vera, e ideale per questa gita. Facciamo un po’ di foto respirando quell’aria profumata di salmastro ed erba, poi torniamo piano piano fino alle bici riprendendo il nostro giro. Mentre scendiamo per la stradina incrociamo di nuovo la coppia di prima che sta salendo, il ragazzo spinge a mano le due bici su per la salita mentre la ragazza con i pantaloni viola sale a piedi immusonita borbottando lamentele verso di lui, neanche fosse l’architetto che ha progettato le strade della zona. Rimontiamo in sella e poco più avanti oltrepassiamo una casa grande dove un’insegna dipinta sul muro ci informa che lì si producono e si vendono manufatti di “Knitwear”, fatti cioè in lana lavorata ai ferri secondo la tradizione locale, che è conosciuta in tutto il mondo. knitwear.jpg Da knitter appassionata quale sono sogno fin dalla partenza di trovare qualcosa di bello e originale fatto a mano qui, e spero che avremo tempo per fare un giro nei negozi del paese prima di ripartire. Oltrepassiamo una splendida spiaggia di sabbia bianca e fine e acqua cristallina, proprio su una curva della via, che se solo ci fosse la temperatura adatta sarebbe un luogo fantastico per fare un bagno, e proseguiamo per la nostra meta principale, l’antichissimo forte celtico di Dun Aengus. to-dun-aengus.jpg Lo vediamo stagliarsi imponente in cima ad un’alta collina, alla fine di una strada tortuosa e ripida lungo la quale diversi visitatori a piedi si stanno già inerpicando. dun-aengus-da-lontano.jpg Sembra vicino ormai, invece è solo un’illusione ottica, dobbiamo pedalare ancora molto per stradine sterrate – e cambiare un paio di volte direzione tra recinti di cavalli e mucche – prima di arrivarci davvero in prossimità. aran-cows.jpg Tornando indietro da una stradina sterrata imboccata per sbaglio ci passa davanti ancora una volta la coppia di ragazzi di prima, il ragazzo stavolta pedala avanti, ha legato una corda fine al telaio della sua bici e poi a quello della bici della ragazza con i pantaloni viola, e se la porta dietro al traino, così che lei possa pedalare con minor fatica e – finalmente – in silenzio. Lasciamo che quell’ingegnoso mezzo di trasporto si allontani abbastanza prima di cominciare a ridere. Non sappiamo esattamente dove stanno andando, ma abbiamo la netta impressione che dovunque sia ci dovranno arrivare in quel modo… Ricontrolliamo con attenzione la nostra piccola mappa e imbocchiamo finalmente la strada giusta per il Forte, raggiungendo in breve il centro di accoglienza per i visitatori. Lì lasciamo le bici nel piccolo parcheggio creato appositamente, dove si trovano anche alcuni negozietti e un punto di ristoro, paghiamo il biglietto alla cassa (2,00 € a testa) e cominciamo la nostra scalata a questo sito archeologico straordinario e incredibilmente misterioso (www.shee-eire.com/Sites&Monuments/Cliff-forts/Galway/Inishmore/Dun-Aengus/dun-ainfo.htm). Il sentiero in salita che porta su al forte è lungo e faticoso dopo la già notevole pedalata, nella parte finale il terreno diventa molto irregolare e pietroso tanto che bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi se non si vuole rischiare una slogatura. muretti.jpg La via è fiancheggiata da splendidi muretti a secco fatti di pietre grigie spigolose e piatte, messe lì a segnare il percorso da chissà quanti secoli. muretti-2.jpg In effetti la datazione di questo antichissimo Forte celtico non è ancora stata stabilita con esattezza, si parla all’incirca dell’Età del Ferro ma questo può significare da 200 a più di 1000 anni prima di Cristo. A mano a mano che saliamo, grati che il sole se ne stia nascosto ancora un po’ dietro le nuvole risparmiandoci più caldo di quello che già soffriamo per la scalata, vediamo avvicinarsi la muraglia scura più esterna del forte, costituito in tutto da tre grossi semicerchi concentrici di mura alte fino quasi a 6 metri. Nonostante non ci siano molte informazioni disponibili su questo luogo, si intuisce anche solo a prima vista che il Forte doveva avere certamente una funzione difensiva oltre che religiosa. dun-aeungus-on-top.jpg Superiamo la muraglia di pietre larga fino a diversi metri che è quella del secondo semicerchio, in quanto quello più esterno è più indietro rispetto al sentiero e non arriva più fin qui, e attraverso una piccola porta entriamo in quell’antichissimo cerchio magico. Ci rendiamo subito conto che siamo molto in alto, oltre 100 metri di salto dividono il forte dal livello del mare, e naturalmente nessuna barriera protettiva è stata alzata sul bordo della scogliera. Pare che originariamente la struttura potesse essere ovale o a forma di D, e certo era abbastanza distante dal baratro, ma lentamente la scogliera ha ceduto all’azione degli elementi ed è precipitata in mare, lasciando il forte incompleto e pericolosamente in bilico sul bordo dell’abisso. Se si potesse vedere dall’alto, si distinguerebbe una struttura a forma di ferro di cavallo in cui i tre semicerchi di pietra vanno a finire direttamente sul limite ultimo delle cliff, dove finisce la terra. La vastità dell’area racchiusa all’interno di questa imponente struttura colpisce immediatamente appena entrati. Ti viene da domandarti da quali mostruosi pericoli dovevano mai difendersi questi popoli, per aver pensato di tirare su tutto questo in cima ad un’altura rocciosa già tanto inaccessibile. great-wall.jpg E’ impressionante attraversare lo spazio compreso all’interno di quelle mura alte e scure che ci racchiudono come enormi braccia e sentirci portare verso il nulla, verso il balzo nel vuoto di quei 100 mt che dividono il promontorio dall’Oceano. Ci avviciniamo al bordo lentamente, c’è vento e pioviscola di nuovo. Le nubi avvolgono di nebbiolina umida una parte della costa verso sinistra, in basso ondate bianche di schiuma si infrangono contro la roccia scura con un ruggito basso e cupo come di creatura preistorica. cliffs-from-dun-aengus.jpg Turisti incappucciati in k-way colorati si prendono eccessiva confidenza con il bordo della scogliera in una maniera che mi fa venire le vertigini solo a guardarli, così ci spostiamo a ridosso della parete più alta per riparaci un po’, in attesa che il rovescio più intenso finisca. L’acqua scivola sulle pietre infilandosi dappertutto tra gli spazi liberi del muro a secco, se non si capisce come e perché una qualche popolazione celtica decise di costruire quest’opera enorme e misteriosa proprio quassù, ancora meno si riesce a comprendere come sia stato possibile che migliaia di pietre semplicemente ammonticchiate le une sulle altre per un raggio di centinaia di metri e un’altezza impressionante siano ancora tutte lì, pressoché intatte, a testimoniare il passaggio di uomini misteriosi vissuti qui mille anni prima di Cristo. Lo scroscio di pioggia dura poco, il sole torna presto a fare capolino dalle nuvole e riprendiamo la nostra visita. Costeggiamo la parete più alta e arriviamo alla piccola porta che da accesso al cerchio più interno del forte, quello minore e ultimo dove la forma a ferro di cavallo è nettamente visibile anche dal basso e dove la terra finisce di colpo e il baratro si spalanca dritto davanti a noi. fort-door.jpg Le alte mura alle nostre spalle sembrano già meno capaci di proteggerci, anzi sembrano più imprigionare chi sta dentro, e metterlo con le spalle contro un muro che non c’è più, e che ormai è solo salto nel vuoto. Al centro del grande spiazzo, in una posizione fantastica sul limite della scogliera, c’è una strana formazione rocciosa rettangolare, sembra quasi un gigantesco altare, o la base di qualcosa che non potremo mai vedere. Tre dei lati di questo strano elemento piatto guardano verso il centro del semicerchio, mentre l’ultimo confina direttamente con il baratro a strapiombo sull’Oceano. Basta guardarlo per immaginare riti magici druidi, suoni misteriosi di lingue perdute, gesti simbolici di antichi Re e guerrieri Celti vissuti qui nella notte dei tempi della civiltà. heart-of-dun-aengus.jpg Dal bordo della scogliera ci giriamo di nuovo verso le mura, a guardare il semicerchio di pietre che ci circonda. Secoli di mistero sono racchiusi da quelle pietre mute, che conserveranno il segreto di tutto ciò che hanno visto per sempre, finché i millenni a venire non riusciranno a spingerle inesorabilmente nelle fauci di quell’Oceano là sotto che pare in attesa di inghiottirle impaziente come una belva affamata. Questo luogo veramente straordinario in cui abbiamo la fortuna di trovarci oggi è uno dei monumenti più antichi d’Europa che è stato capace di conservarsi in maniera incredibile, per tramandare fino al nostro tempo la sua misteriosa lezione. La fatica fatta per arrivare qui e salire in cima alla collina è già completamente dimenticata. La meraviglia è la sola sensazione che porteremo via con noi da Dun Aengus. cliffs_0.jpg Il cielo si è rischiarato molto e il sole splende, illuminando di luce chiara l’erba profumata di pioggia. Persino l’Oceano pare più calmo ora, e più azzurro. Facciamo un po’ di foto finalmente “asciutte” delle cliff e delle mura, e poi ricominciamo la discesa di questo magico sentiero spazio-temporale capace di portare gli uomini del 21° secolo nel regno misterioso dei Celti, quando nulla esisteva ancora e tutto doveva sempre succedere. Riprendiamo le nostre bici dopo aver lanciato un ultimo sguardo di saluto al Forte immutabile, e torniamo verso il bivio dove abbiamo visto la spiaggia bianca, costeggiandola in direzione sud. inishmore-beach.jpg Non andremo a vedere il Worm’s Hole, una stranissima piscina di roccia dalla forma perfettamente rettangolare ma di origine assolutamente naturale dalla quale, con l’avvicinarsi dell’alta marea, l’Oceano emerge con grande impeto, per un fenomeno geologico di riempimento e svuotamento di grotte sotterranee dovuto proprio alle forti maree. Proseguiamo invece verso sud, siamo ormai sul lato opposto dell’isola e qui la strada è finalmente in piano, a volte addirittura in discesa, ed è praticamente tutta costiera, il che significa che regala scorci di panorami di una bellezza da levare il fiato. Pendii erbosi, muretti a secco, cavalli e rari cottage immersi in un silenzio fantastico, e in una luce perfetta. horse-and-sea.jpg Pedaliamo lentamente godendoci ogni angolo e fermandoci di frequente a fare foto, ora che non siamo più impegnati a scalare quelle salite dure possiamo dedicare tutta la nostra attenzione alla meraviglia che ci circonda. Ci chiediamo come dev’essere vivere qui, in questa pace e in questa solitudine, tra bellezza e senso di smarrimento. Gli inverni devono essere lunghi e bui quassù, quando il freddo e la pioggia scoraggiano la gran parte dei visitatori e il mare decide lui se far arrivare gente oppure no. Nonostante i turisti e le mucche in giro questa è terra di pescatori, e i pescatori sono tipi particolari, che non solo apprezzano ma hanno bisogno di vivere in un posto come questo, dove tutto è vero ed essenziale, dove la natura comanda e bisogna conoscere soprattutto la sua legge per sopravvivere, prima ancora di quella degli uomini. Certo i visitatori sono i benvenuti e sono sempre accolti in maniera eccezionale, come è tipico in questo meraviglioso Paese, ma basta stare seduti un po’ qui in questo silenzio, a guardare l’Oceano e il profilo dell’isola madre là in fondo, per avere la sensazione che devi esserci nato, qui, per potertici sentire a casa. Per non avere la sensazione di esserti smarrito nel luogo più sperduto e più bello del mondo, e in un tempo che non sai più se è il tuo. Noi ci stiamo per un po’, a guardare l’Irlanda da qui, verso la Baia di Galway, in una zona dove la riva rocciosa di una piccola baia è segnalata sulla mappa come residenza di una colonia di foche. seals-bay.jpg E’ da quando ho letto questa cosa delle foche, stamattina, che desidero arrivare qui e vederne una, non pretendo tanto, non importa che ci sia tutta la colonia, mi basterebbe una sola, lì tranquilla a riposarsi sulla sua roccia, col suo corpo grassottello e il musetto baffuto, e il naso in aria ad annusare il profumo del mare. Per questo, ora che finalmente ci siamo, sono un po’ delusa di non trovare nessuno, niente foche sulle rocce, né piccole né grandi, solo la baia vuota e l’acqua limpida che la circonda. La presenza delle foche nella colonia è legata alle maree, pare che con la bassa marea vengano lì a riposarsi e che poi approfittino di quella alta per uscire a pescare. Beh, è ovvio che è tempo di alta marea ora, perché la zona è proprio deserta. Bellissima, ma completamente solitaria. Stiamo un po’ in attesa nella speranza di vederne arrivare qualcuna, ma non succede nulla, così alla fine ci rassegniamo e ripartiamo verso il paese. Sono un po’ dispiaciuta, ma in fondo non è così importante, abbiamo visto comunque il luogo della colonia, e poi quest’isola ci ha già dato tanto e sarà impossibile ripartire da qui davvero delusi. Facciamo un’ultima sosta vicino a una casa che ha un recinto proprio sulla strada, nel quale vediamo due splendidi cavalli bai che stanno brucando l’erba tranquilli, e ci fermiamo per accarezzarli e fotografarli. Ormai siamo vicini a Killronan, e dopo neanche un chilometro e un’ultima discesa ci ritroviamo alla fine del percorso circolare, proprio nella stradina dalla quale siamo partiti stamattina. baia-di-galway.jpg Ce l’abbiamo fatta dunque. Anzi, è andata anche meglio del previsto. E se un giorno solo è poco per vedere tutto quello che offre questa piccola isola, siamo comunque felici del carico di ricordi di questa giornata che ci porteremo via con noi. Decidiamo di andare subito a lasciare le bici prima di fare un giro in paese, e alla fine, nonostante la scarpinata iniziale, ringraziamo il signore del noleggio per la mappa e i consigli. Manca ancora circa un’ora alla partenza del traghetto, per cui abbiamo tutto il tempo per risposarci un po’ e fare un giretto per i negozi di artigianato locale. Andiamo dritti a vedere il famoso Aran Sweater Market and Museum, a sinistra del molo, e scopriamo che è un posto fantastico, almeno per me che adoro lavorare ai ferri. Si tratta del principale negozio del paese che vende esclusivamente articoli lavorati con la tecnica detta appunto Aran, una lavorazione molto bella che si ottiene con grosse lane un po’ grezze e punti molto intrecciati e lavorati. Su uno schermo in una zona appartata del negozio scorrono le immagini di un documentario nel quale si spiega come le donne dell’isola anticamente, ma alcune ancora oggi, partivano proprio dalla lana di pecora da filare e cardare, si facevano il loro filato in casa, e da quello ottenevano i loro famosi maglioni lavorati, indossati poi dai capo-famiglia che di solito erano pescatori. aran-knitwear-market.jpg Ogni famiglia aveva un suo disegno originale diverso da tutti gli altri, così in caso di naufragio si era in grado di riconoscere qualunque pescatore ritrovato in mare anche grazie alla lavorazione del suo maglione. Nel negozio sono anche esposti antichi fusi e arcolai, insieme a grossi gomitoli di filati di colore neutro o tinti con estratti naturali. aran-tradition.jpg Ma soprattutto c’è un’esposizione enorme di cardigan, maglioni, golf, calzini, plaid, coperte, cuscini, guanti, muffole, sciarpe, berretti, stole, per donna, per uomo, per bimbi… c’è di tutto, persino alcune bambole e orsetti di lana. Non avevo mai visto una tale quantità di articoli lavorati a maglia tutti in una volta, e sono tutti bellissimi, morbidi, caldi e straordinariamente lavorati. hand-knitted-arans.jpg Mi aggiro per i due piani dello store come incantata, mi piacerebbe comprare tutto, dai cardigan classici di colore neutro ai cappelli a trecce color verde bosco, dalle sciarpe pesanti agli scialli finissimi e caldissimi, dai maglioni da portare a tutti i miei cari a casa alle pantofole di lanona grossa per l’inverno… Soprattutto mi incanto davanti ad alcuni Afghan (coperte da divano) color burro fatti a riquadri ognuno dei quali lavorato con un punto differente, e bordati con un giro di Shamrock a filo scambiato di colore verde scuro – bellissime e neppure care come prezzo, visto che oltretutto è tempo di saldi. Ci sto facendo davvero un pensierino quando Luca mi ricorda la parolina magica che tendo sempre a dimenticare: Ryanair ! Una coperta come quella peserà almeno 4 o 5 kg ! Come facciamo a portarla via ? Accidenti… mi convinco a lasciar perdere per il momento, ma ci lascio veramente il cuore. Prima di fare acquisti decidiamo di dare un’occhiata ai capi – e ai prezzi – del negozietto subito qui accanto, molto più piccolo ma che espone articoli molto belli. Facciamo un giro veloce e decido di acquistare lì delle pantofole di lana da casa per l’inverno per me, sono proprio uguali identiche a quelle viste all’Aran Market ma costano ben 6,00 € in meno. Poi torniamo di là, e dopo varie ricerche adocchio un modello di cardigan a trecce con un bottone in legno sulla spalla sinistra che proprio mi incanta, e che è a sconto per i saldi. Cerco una misura che mi possa andare bene perché questi modelli sono generalmente molto abbondanti, e una signora gentilissima del negozio viene in mio aiuto consigliandomi e dandomi una mano a provare un paio di capi. A me piace molto un cardigan color rosso vivo, che fa un po’ Natale, ma su suo consiglio provo lo stesso modello anche nel colore panna, e devo ammettere che ha ragione lei, l’effetto della lavorazione Aran è molto più bello in quel colore chiaro. Per provare i vari capi mi sono tolta il mio golf lavanda e quando la signora capisce che effettivamente l’ho fatto io a mano comincia a farmi un sacco di complimenti per il modello e il colore e per come è lavorato, sostenendo che è molto ben fatto e che solo una brava knitter è in grado di realizzare un lavoro bello come quello. Magari esagera un po’, ma sono contenta che una esperta come lei apprezzi il mio lavoro fatto a mano. E’ una bella soddisfazione dopo tutte quelle ore passate a sferruzzare, e poi è sempre un piacere avere a che fare con persone gentili che ti parlano con cortesia e interesse. Alla fine prendo il cardigan chiaro, che Luca mi regala come ricordo di questo posto fantastico dove ci siamo divertiti molto. Di prendere qualcosa per lui neanche a parlarne – dovrebbe vivere al Polo Nord per tollerare di indossare un capo di lana così pesante! Purtroppo qui non hanno libri o riviste di maglia quindi acquistiamo solo il mio golf, col quale ci regalano un librettino che raffigura tutte le diverse lavorazioni Aran classiche con la spiegazione del loro significato simbolico tradizionale. Vorrà dire che conserverò quello e a quello farò riferimento quando avrò bisogno di indicazioni per lavorare questi punti così belli e antichi. Usciamo dal negozio dopo aver salutato la signora, che ci ha tenuti un po’ lì a chiacchierare del nostro viaggio e del nostro paese, e ci avviamo finalmente verso il molo. Il cielo è di nuovo grigio e l’aria sul bordo del mare è quasi fredda, ma non piove. Passeggiamo lì intorno per ingannare l’attesa, osservando la piccola mezzaluna del porto con i suoi edifici colorati ancora una volta. Faccio qualche foto già rattristata di dover lasciare questo posto incantato, quando Luca mi si avvicina e mi dice piano piano “guarda…!”. Mi volto verso il punto che mi indica senza capire bene a cosa si riferisca, e resto letteralmente immobilizzata dalla meraviglia: nelle acque del porto lì davanti, a pochi metri da noi, una foca ha fatto capolino sulla superficie del mare e si sta guardando intorno curiosa, mentre si tiene a galla con la pancia all’aria. E’ bellissima… Piccola e rotondetta, di colore grigio scuro, se ne sta lì a dondolare a pancia in su mentre respira e annusa in giro, è assolutamente fantastica. Dopo circa un minuto si immerge di nuovo e scompare alla vista, e solo in quel momento riesco a scuotermi e a reagire. Era una foca! Una foca vera! Abbiamo visto una foca nuotare libera nel suo habitat naturale ! Non riesco quasi a crederci… seal.jpg Mi avvicino di più al bordo del molo con Luca e prego dentro di me che torni su a farsi rivedere almeno una volta, almeno per qualche istante… Era troppo bella, non può essere sparita così! E poco dopo le mie preghiere vengono esaudite, la foca torna ad emergere poco più in là, col suo musetto baffuto che spunta dall’acqua e gli occhietti tondi che si guardano in giro. Stavolta non perdo tempo e comincio a scattarle qualche foto, mentre l’emozione mi prende la gola. E’ uno spettacolo incantevole quello che quella piccola foca ci regala ritornando a farsi vedere ancora due o tre volte, immergendosi e riemergendo per respirare e curiosare un po’ in giro a distanza di pochi minuti. Un paio di altri turisti la notano, e una ragazza che lavora al porto, e tutti la osservano incuriositi, in silenzio. La sua assoluta tranquillità e il suo essere completamente a suo agio nel suo ambiente naturale le danno un’aria splendida, elegante e perfetta. La guardo e quello che vedo è una creatura completamente libera, nel senso più totale della parola. E’ un’emozione speciale questa che Inishmore ci ha riservato poco prima che salpiamo, l’ultima e forse la più bella, che ci farà custodire nel cuore il ricordo di questa visita con ancora più nostalgia. Lo sapevo che l’isola dell’isola è sempre un posto particolarmente speciale, e ancora una volta ne abbiamo avuto la conferma. Il battello riparte in perfetto orario alle 17, 00 in punto, e attraversa il piccolo pezzo di Oceano Atlantico che divide questa terra speciale dalla sua isola madre senza problemi. Riprendiamo la nostra auto poco dopo essere sbarcati e seguiamo la via indicata dal navigatore verso il B&B di stasera, che è il Cornerstones di Moyard, sulla N59 poco oltre Clifden. Non è tardi e c’è ancora sufficiente luce per godersi appieno la bellezza straordinaria del Connemara, tra prati verdissimi e perfetti, colline dolci e infiniti laghetti d’argento che fanno da specchio alla corsa libera delle nuvole in cielo. Nonostante abbiamo già visto una moltitudine di paesaggi bellissimi e diversi, il Connemara appare subito ai nostri occhi come qualcosa di speciale, assolutamente meraviglioso e magico più di ogni altro panorama incontrato fin qui – e ne abbiamo visti, di splendidi. Il verde del Connemara ha una sfumatura speciale tutta sua, ancora mai incontrata, impreziosita da una ricchezza d’acqua fantastica, tra laghetti e pozze e mare. A mano a mano che andiamo avanti incontriamo anche le magnifiche cime delle Twelve Bens, che si intravedevano sul profilo dell’orizzonte dalla costa di Inishmore. In questa zona si trova il Connemara National Park, nel quale si possono visitare mostre naturali e aree protette, e dove vengono organizzate escursioni a piedi con guide locali fin su alle montagne. Stavolta no, ma il parco è già nel nostro programma per la prossima volta… Procediamo lungo queste strade strette e dolcemente curve incontrando poche altre auto, ma ogni volta i vari autisti non dimenticano di riservarci il loro solito cenno di saluto, al quale siamo ormai molto affezionati. Nelle vicinanze del B&B, circa 9 km oltre la cittadina di Clifden, giriamo a una curva e facciamo un altro incontro insolito, che ci fa rallentare per fare qualche foto: tre piccoli asinelli grigi, soli e liberi, passeggiano per la strada in fila indiana. asino.jpg Se ne vengono in giù lentamente su un lato della carreggiata, tranquilli e beati, come se stessero andando al pub a fari una pinta incuranti delle auto che incrociano. Meno male che di qui ne passano poche e che in genere vanno piano, nonostante l’incredibile limite di 100 km/h che abbiamo visto su quasi tutte queste stradine secondarie. Ma come si fa ad andare a 100 all’ora in posti come questi? C’è troppa bellezza da godersi dal finestrino per sfrecciare via a quella velocità… Anzi, devo ammettere che a volte, per guardare quello che c’era fuori, non ho tenuto abbastanza d’occhio le indicazioni del navigatore sul PC che tengo sulle gambe e ho costretto Luca a qualche inversione e retromarcia… Ma come si fa? E’ tutto così bello che non si vorrebbe perdere neppure un attimo di questa meraviglia. Salutiamo gli asinelli e arriviamo al B&B facilmente anche se lì per lì, nonostante le indicazioni molto chiare lungo la via, temiamo di aver sbagliato – può essere davvero che sia qui su per questa stradina circondata dal bosco? Nessuno sbaglio, è proprio la strada giusta, che porta ad un cottage favoloso circondato da un giardino incredibile, sull’alto di una collinetta nel bel mezzo di quel paesaggio incantato. Stentiamo a crederci, ma siamo davvero arrivati. Questo è sicuramente il B&B più bello che abbiamo trovato fino ad oggi, e la signora Eithna è assolutamente deliziosa quando viene a darci il benvenuto. E’ giovanile e snella, con i capelli corti e un sorriso sempre pronto, e ci sistema subito in una stanza bellissima al piano superiore, col tetto a mansarda, una grande finestra rettangolare che da sul giardino e un bagno con doccia tra i più grandi che abbiamo avuto fin qui. La stanza è tutta arredata sul bianco e giallo oro, anche le pareti sono giallo chiaro, il lenzuolo bianco ha dei decori sul giallo nella stessa tonalità del trapuntino piegato ai piedi del letto, e solo un piccolo cuscino rosso scuro riprende il colore identico delle due abat-jour sui comodini di legno chiaro, fatti nello stesso stile dell’armadio. Sembra tutto nuovo e lindo, siamo davvero entusiasti di questa sistemazione speciale e quasi ci dispiace di dover uscire subito per la cena. Ma siamo affamati dopo le tante emozioni di oggi, così mettiamo giù le nostre cose e torniamo verso Clifden in cerca di un pub che ci dia da mangiare. Clifden è una cittadina molto carina, non grandissima ma neppure fatta delle solite 4 case. Qui ci sono negozi, pub, hotel, B&B, ristoranti, stazione di servizio, scuola, un paio di incroci principali e persino un semaforo. Non è Galway, ma c’è molta più vita che in altri centri che abbiamo visitato. Parcheggiamo e scegliamo il J Conneelys Bar per cenare, un locale molto bello e grande con una bella atmosfera, gestito da due ragazzi giovani e dove in serata è prevista musica dal vivo. Siamo i soli clienti a cena, ma non ci sono problemi. Ordiniamo Fish and Chips e Smithwicks per me (ne avevo voglia da oggi…) fish-and-chips.jpg e Guinness Irish Stew con Guinness per Luca irish-guinness-stew.jpg. Il servizio è ottimo e anche il cibo, presentato in bei piatti grandi e molto abbondante. Lo spezzatino di Luca è delizioso, con molte verdure speziate, soda bread e burro, e quel bel profumo intenso di birra che avevamo gustato per la prima volta a Kilkenny, ma anche il mio pesce è ottimo, croccante fuori e morbido all’interno, e accompagnato da patatine insalatina e salsa. La Smithwicks l’ho presa per assaggiare qualcosa di diverso, ma la Guinness resta sempre la mia preferita. Ceniamo tranquillamente chiacchierando, e quando chiedo al ragazzo se possiamo restare finché comincia la musica lui mi sorride e dice: “Of course!” Lentamente altri clienti arrivano per la classica pinta del dopocena, e piano piano il lungo locale si riempie quasi a metà. Arriva anche il gruppo dei musicisti “The Hog” ad un certo punto, un paio sono un po’ oltre la trentina e uno direi oltre i cinquanta, con una bella pancetta rotonda e i capelli bianchi, e cominciano a sistemare gli strumenti e i microfoni. Cioè, il più giovane sistema gli strumenti, mentre gli altri si sistemano la voce con una bella pinta fresca, tanto per cominciare. Luca si beve un buon Irish Coffee nell’attesa, ma ci vogliono almeno altre due pinte a musicista prima che lo show abbia inizio. Il più anziano è il cantante solista, che si lancia in canzoni allegre e vivaci con una notevole energia, mentre una fan un po’ attempata gli lancia occhiate di approvazione dalla prima fila del bancone del bar. Le chitarre e il banjo suonano a gran ritmo tra strilli da far west e acuti tenuti su con altre pinte di Guinness, e l’atmosfera si riscalda in breve tempo. the-hog.jpg Molti applausi di incoraggiamento arrivano dal pubblico presente, e i tre sembrano proprio divertirsi molto. La musica è allegra e ritmata, i tacchi battono sul pavimento in legno e gli “yahoooooo” a tutta voce si sprecano, è davvero uno show vivace, proprio ciò che ci aspettavamo da una serata tradizionale. Restiamo fino quasi alle 11, poi decidiamo di rientrare. Siamo troppo stanchi e domattina dobbiamo alzarci ancora presto, e vogliamo anche goderci un po’ quella meravigliosa stanza che abbiamo per la notte. All’uscita dal pub camminiamo fino alla macchina passando davanti ad altri bar, le porte sono aperte e da tutti i locali arrivano musica e canzoni tradizionali. Per strada non c’è nessuno, solo quelli che stanno passando da un pub all’altro per sentire altri strumenti suonare altre melodie. Non ci sarà molto fuori, qui, ma in serate come questa, dentro i pub si sente davvero battere il cuore più autentico dell’Irlanda. Rientriamo al Cornerstones in dieci minuti e ci prepariamo subito per andare a dormire, ché di materiale per i sogni anche stasera ne abbiamo a volontà.
www.connemarabnb.com (30,00€ a persona voto 5/5)
cornerstones@eircom.net

4 commenti

  1. Luca

    Che giornata intensa! Tra gite in barca, scampagnate in bici, panorami unici, foche, lavori a maglia e serate al pub!
    Ogni volta che leggiamo il vostro diario di viaggio ci viene sempre più voglia di Irlanda.
    Un abbraccio forte.

  2. Ciao! ;o))
    La giornata è stata bella veramente credimi… solo a ricordarla mi viene una nostalgia… ;o))
    La voglia d’Irlanda non mi è ancora passata neppure dopo esserci stata… posso immaginare la vostra che ancora non avete visto dal vivo il verde di quella terra magica…
    E’ da non perdere secondo me, ne sono sempre più convinta.
    Un abbraccio a voi e a presto!

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