Il mondo di Sally

L'importante non è cosa guardi, ma cosa vedi
 
Il mondo di Sally

Sabato 28 dicembre 2013: Schloss Linderhof e Oberammergau

Sembra che ci siamo per davvero, stavolta: si parte per la Germania. Sveglia all’alba, valigie in macchina e via, verso nord. Preferisco pensare che stiamo andando in Baviera, ma insomma, si va. Ora che siamo partiti, sento che sono curiosa di visitare questa terra ancora sconosciuta, così vicina eppure così lontana dal mio orizzonte di viaggio. La mattinata è serena e pulita, la temperatura più alta del previsto, il traffico scarso. Arriviamo in Trentino senza problemi, e lì ritroviamo le più belle montagne del mondo che subito ci circondano e ci vengono incontro, come vecchi amici che aspettavano il nostro ritorno.

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Acquistiamo la Vignette per l’Austria (8,50€), passiamo accanto a Innsbruck, distesa nella sua conchiglia ai piedi delle montagne, bella e diversa senza la neve che la ricopriva quando venimmo qui 2 anni fa, e neanche un’ora dopo oltrepassiamo il cartello che segnala il passaggio del confine. Siamo in Germania.
Procede tutto liscio fino alla nostra prima tappa di oggi, lo Schloss Linderhof, vicino al paese di Ettal, il primo dei molti castelli di Ludwig II di Baviera che abbiamo in programma di visitare. Per parcheggiare si passa davanti a un casottino con una macchinetta dove si inseriscono 2 euro e si riceve un tagliando da esporre sul cruscotto. Non c’è una sbarra e neppure un guardiano, per cui in teoria, se entri a diritto senza pagare, difficilmente qualcuno se ne accorge. Naturalmente, tutti pagano.
Alla biglietteria dello Schloss facciamo il Ticket Partner valido 14 giorni, che per 20,00€ a testa ci permetterà di visitare tutti i palazzi reali di Baviera gestiti dall’amministrazione pubblica, soluzione che avevo visto in internet e che ci conviene decisamente.
Il parco del castello è molto bello, lo si capisce anche adesso che è piuttosto spoglio, senza foglie e fiori ma ugualmente elegante, con la neve che lo imbianca delicatamente. Il sentiero sale e fa una piccola curva, e subito dopo appare un laghetto incastonato tra i boschi e la collinetta del Belvedere, così lucido che pare di cristallo. Sul bordo dell’acqua nuotano diverse anatre e due cigni bianchi, simbolo della casa reale di Baviera e noti per essere gli animali preferiti del padrone di casa Ludwig II, il Re Folle. È grazie a lui se ora siamo qui, a visitare uno dei suoi incredibili castelli di fiaba.

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Qui Ludwig ha vissuto per circa 8 anni verso la fine della sua vita, terminata misteriosamente nelle acque di un lago non lontano da qui quando aveva solo 40 anni, ed era stato già interdetto come incapace di intendere e di volere. Il Re pazzo, cugino dell’imperatrice Sissi d’Austria, che era bellissimo ma anche timido e schivo, era re ma voleva vivere isolato dal mondo, un raffinato sognatore amante del settecento francese, della poesia e della musica di Wagner, che desiderava realizzare tutte le sue più folli fantasie artistiche e che invece doveva fare i conti con le casse dello Stato. Questa la realizzò, comunque, e ora si fa la fila per visitarla.

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La visita è solo guidata, in inglese o in tedesco. Scegliamo l’inglese, e seguiamo con una decina di altre persone una ragazza molto gentile che ci spiega a grandi linee la storia del castello. Che è più una villa in effetti, o un castello in miniatura, completato nel 1879 in stile rococò e ispirato al Petit Trianon di Versailles appartenuto a Maria Antonietta. Se è molto più piccolo di quanto si pensi, il castello è anche molto più ricco di quanto si potrebbe mai immaginare. Le stanze visitabili sono si e no una dozzina, ma mai in nessun castello ci è capitato di vedere una tale concentrazione di decorazioni, stucchi, ori, porcellane, specchi, ritratti, drappeggi, marmi, broccati, e una tale ricchezza di dettagli preziosi, di particolari studiati con cura assoluta, di armonie cromatiche e formali così perfette da lasciare a bocca aperta. Salottini rosa, lilla, o argento con appesi alle pareti i ritratti dei maggiori protagonisti della corte di Versailles, il vero mito di Ludwig II, una sala del trono con un baldacchino dorato decorato da piume di struzzo, una stanza da letto di 100 metri quadrati con un letto di velluto blu sormontato dallo stemma reale bavarese e due consolle con immense specchiere arricchite da cascate straordinarie di fiori in porcellana Meissen, in mezzo alle quali si trova una finestra che si affaccia direttamente sulla scalinata d’acqua che abbellisce il parco esterno, e che viene attivata solo in estate. E poi, stupefacente, una sala da pranzo con un tavolo magico che veniva calato nella stanza di sotto attraverso il pavimento tramite un sistema a manovella, apparecchiato di stoviglie e cibi e fatto risalire su nella stanza del re, che in questo modo evitava di essere disturbato perfino dalla presenza dei camerieri che lo servivano. Ammiriamo una stupenda collezione di vasi di porcellana, un orologio con un meccanismo vecchio di 300 anni, un enorme lampadario in cristallo di Boemia che regge ben 108 candele e pesa 500 kg, chissà come luccicava quando erano tutte accese. E le meraviglie continuano. Soffitti e pareti completamente affrescati con scene mitologiche, statuette di marmo copie perfette di grandi opere del Louvre amate dal re, poltrone e divani di manifattura Gobelin originale, pavoni di porcellana a grandezza naturale, rarissimi tavolini in malachite dono di una zarina di Russia, un incredibile pianoforte verticale decorato all’inverosimile di stucchi dorati fatto costruire apposta per Wagner, che purtroppo non poté mai suonarlo, e il fantastico gioco di specchi dello studio, in cui due enormi specchiere dorate messe una di fronte all’altra moltiplicano all’infinito lo spazio e i decori della stanza, facendo apparire dal nulla una galleria di luce che sembra portare dritta in paradiso! Ma più stupefacente di tutto, un meraviglioso lampadario a bracci ricoperto di ciuffi di fiori e tralci, angeli e corone, tutto completamente scolpito nell’avorio più perfetto! Spettacolare! Mai visto niente di più raffinato ed elegante…un’opera d’arte davvero degna di un Re.
Certo, il risultato finale è decisamente carico, ma in qualche modo riesce e non essere pacchiano, solo straordinariamente sfarzoso. La dimensione ridotta degli ambienti e la quantità inusuale di oggetti eccezionali creano uno strano effetto di bellezza concentrata, dando veramente l’impressione di camminare in un regno miniaturizzato, o in una favola.
Forse un po’ folle lo era davvero Ludwig II, che dormiva di giorno e viveva di notte nella luce magica delle candele, ma di certo sapeva quello che voleva.
Peccato che fino a Marzo il resto degli edifici del parco restino chiusi e non si possano visitare, perché devono essere altrettanto fiabeschi, ma non avrei rinunciato all’atmosfera invernale di questo luogo per nulla al mondo.

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Dopo il giro del castello, che dura una quarantina di minuti, mangiamo qualcosa veloce al chiosco sulla piazza della biglietteria e poi riprendiamo la macchina diretti verso la seconda tappa in programma per oggi, Oberammergau. Questo paesino di poco più di 5000 abitanti dista una dozzina di chilometri da Linderhof ed è famoso come il più bel paese della Baviera con le case dalle facciate dipinte. La tradizione di dipingere grandi scene di vario soggetto sulle facciate delle case c’è anche in Tirolo, la conosciamo ed è molto suggestiva, per cui siamo venuti a vedere se anche qui è bella come ce l’aspettiamo. Lo è.

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Il paesino è veramente eccezionale, con le casette dal tetto a punta e i balconi di legno intagliato, e tutte le facciate completamente dipinte con scene religiose, di caccia, di fiaba, o con semplici decorazioni geometriche colorate. L’effetto è bellissimo, lo sarebbe già con 2 o 3 case così decorate, ma qui sono tutte dipinte: decine di metri quadrati di facciate su cui spuntano enormi angeli, Madonne, pastori, contadini, intagliatori di legno, lupi, conigli, uccelli, orsi, capre, fiori, nuvole…… sembra di camminare in un paese incantato.

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Anche la chiesa è molto bella, semplice e piccola all’esterno, con un campanile dal tetto a cupola e un sorprendente interno ampio e luminoso, in stile barocco, tutto rosa e bianco e molto elegante. Qui si organizza l’evento più famoso del paese, la rappresentazione della Passione di Gesù, che si svolge ogni 10 anni e che coinvolge per mesi oltre 2000 dei 5000 abitanti del posto, un evento che attira qui migliaia di spettatori da tutto il mondo.

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Le decorazioni e le luci natalizie moltiplicano l’effetto magico del posto, e i negozi completano alla perfezione l’atmosfera fiabesca. L’attività artigianale prevalente è la scultura del legno, una lavorazione tradizionale famosa e apprezzata in tutta la Germania, per cui in ogni vetrina si vedono centinaia di figure del presepe, animali di ogni genere, angeli, babbi natali, casette, castelli, madonne, bambinelli, stelle, fiori, alberi, cuori, suonatori, e soprattutto Crocifissi. Ci sono statue di tutte le dimensioni, da pochi centimetri a due metri, lavorate in maniera semplice o scolpite come vere opere d’arte, grezze o colorate, divertenti o più tradizionali, e tutte fantastiche. Non resistiamo, e facciamo anche noi qualche piccolo acquisto in uno di questi meravigliosi negozi.

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E’ buio quando ripartiamo a malincuore da questo paesino di fiaba diretti all’hotel prenotato per stasera, ma di certo non dimenticheremo presto questo posto.

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Facciamo gli ultimi 50 km di oggi per raggiungere Füssen, poco più a nord sulla Romantische Strasse. E’ buio sulla strada secondaria che percorriamo attraverso una zona fatta solo di boschi e rade abitazioni, la temperatura è ormai fissa sotto lo zero e la strada è ghiacciata e scivolosa come una saponetta. Per fortuna arriviamo senza problemi alla Pension Carina, una specie di locanda familiare molto confortevole, dove troviamo gestori gentilissimi e una bella stanza pulitissima e calda. Qui facciamo anche la nostra prima cena tedesca, e Luca si gusta un ottimo stinco alla birra in stile Flinstones con un osso così grosso che esce dal piatto. Hohenschwangau e Neuschwanstein, i due castelli più famosi fatti costruire da Ludwig II, sono ormai vicinissimi, e domattina dopo colazione andremo proprio lì a fare il nostro tanto atteso giro di visita.

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Sabato 19 e domenica 20 maggio 2012: Lisbona

E alla fine ci siamo arrivati, là dove volevamo arrivare. Dopo un lento pellegrinaggio durato ben 8 giorni e oltre 1000 km, eccoci finalmente davanti a lei: Lisbona. La capitale-mito di questa terra antica e genuina, la città misteriosa e affascinante che era nei nostri sogni da sempre. Quella che farà da pietra di paragone per ogni bellezza appena ammirata, e per ogni altra già conosciuta altrove. Una capitale strettamente legata alla storia più antica del nostro continente che però se ne sta defilata sul bordo estremo d’Europa, come volontariamente appartata, voltata verso l’Oceano a dare le spalle a tutto il resto, a prendersi in faccia il vento di mare e scrutare fisso verso occidente. Perché chi stava qui lo sapeva, che laggiù c’era il resto del mondo da scoprire.
Gli dedichiamo due giorni, a questo luogo mitico, niente, in effetti, per un posto che non basterebbero due vite a conoscere, ma abbastanza per rimanerne stregati per sempre. Già l’arrivo è di quelli che non si dimenticano, attraverso il maestoso ponte di ferro XXV Aprile, immenso e rosso a cavallo dell’estuario del Tago. Un ponte che è il fratello minore del Golden Gate del Pacifico ma altrettanto bello, e anche lui a fare da porta d’ingresso a un Oceano smisurato.

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Dal ponte rosso si accede a una città insolita, unica, e bellissima. Una città piena di storia e di fascino, affacciata sul mare, spazzata dal vento e dalle nuvole più grandi che abbiamo mai visto. Palazzi eleganti, piazze enormi e accoglienti, una stazione dai decori unici, tracce di fasti lontani che ancora mandano bagliori di fascino.

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Tra le piazze più spettacolari, la Praça do Comércio, uno spazio di 170 metri per 170 circondato su tre lati da palazzi raffinati con splendidi porticati alla base, e con lo scenario immenso del Tago che si apre sul quarto lato. Al centro del lato opposto al fiume, un arco trionfale ottocentesco collega a un’altra piazza importante della città, il Rossio. In mezzo alla piazza si può ammirare un’imponente statua equestre in bronzo di Re Giuseppe I, monumento a uno dei grandi Re del Portogallo.

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Anche a Lisbona ritroviamo le meravigliose pavimentazioni geometriche di pietre bianche e nere che decorano gli spazi immensi riservati a piazze e marciapiedi: cerchi, onde, fiori, greche, tralci. Uno spettacolo extra che si aggiunge gratuitamente a tutta la bellezza che circonda chiunque decida di fare una delle cose migliori che si possano fare qui: una tranquilla passeggiata in giro.

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Una città fantastica e unica che, come non avevamo mai visto da nessun’altra parte, è divisa in due non in orizzontale ma in verticale, in cui la zona della Baixa affacciata sul Tago si contrappone al Bairro Alto, antico quartiere caratteristico arroccato in cima a una collina, dominato dalle nuvole e dal Fado. E per andare da una zona all’altra, basta prendere una vecchia funicolare che monta su ritta come quelle che scalano le vette alpine, oppure salire su uno di quegli sferraglianti tram gialli che si arrampicano su per le stradine contorte come enormi e lenti insetti, fatti di legno lucido e metallo scricchiolante, cavi dondolanti e campanelle allegre. Sali su e ti siedi, e il viaggio comincia.

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E se poi i tram e le funicolari che risalgono le viuzze ripide fino al Bairro Alto non bastassero, in questa sorprendente capitale si trova anche un altro mezzo di trasporto assolutamente unico, l’Elevador de Santa Justa. Progettato da un architetto francese alla fine dell’ottocento per celebrare l’arrivo del nuovo millennio, è di fatto un vero e proprio ascensore che collega la Baixa col Bairro Alto coprendo un dislivello di oltre 30 metri. Dal design raffinato, tutto in ferro in stile vagamente neogotico, si innalza a fianco di un palazzo in una piccola via laterale, ed è una delle attrazioni preferite dai turisti. Perché non capita spesso di poter dire che per andare in una certa zona della città non si è preso un taxi, né un bus, o un tram o una metro, ma un ascensore. E uno bellissimo, poi.

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Cuore storico, spirituale e artistico della città e monumento imperdibile per ogni persona che passi di qui, la Sé, posata in cima a una collina che si affaccia sul mare, è certo l’edificio più importante e rappresentativo di Lisbona. Una cattedrale-fortezza dall’aspetto potente e solido come un castello, con un enorme portale strombato sormontato da un bel rosone e affiancato da due torri gemelle ornate di merli. Cominciata nel 1150 per volere del re Alfonso I, ha subito diverse ricostruzioni a causa di danneggiamenti dovuti a guerre e terremoti che risultano in diverse sovrapposizioni stilistiche, dal romanico al barocco al manuelino, comunque mai fastidiose o disarmoniche.

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La navata di questa Sè è degna di una vera cattedrale di capitale, immensa, profonda, dalle volte altissime sorrette da colonne di pietra possenti e riccamente decorate. La luce entra dalle finestre a ogiva dalle vetrate istoriate creando un’atmosfera di grande fascino.

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Nel transetto, le tombe del re Alfonso I e della regina sua moglie, e sarcofagi medievali scolpiti come vere opere d’arte. Ma mentre il re riposa da antico guerriero, con la sua spada tra le mani, la regina se ne sta distesa con la testa appoggiata a un cuscino vestita di tutto punto, coi gioielli e la corona e tutto, e tiene tra le mani un libro di preghiere che è intenta a leggere devotamente, mentre i suoi fedeli cani sono distesi ai suoi piedi a farle compagnia per l’eternità. Magari il marmo sarà un materiale più nobile e sfarzoso, ma la pietra – non c’è nulla di più bello della pietra, per dare materia e colore a una tomba.

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Non lontano dalla magnifica Sé si trova la chiesa di Sant’Antonio, il Santo di Lisbona diventato poi famoso come Antonio da Padova e venerato in tutto il mondo come uno dei Dottori della Chiesa Cattolica. Antonio non poteva non avere un luogo sacro a lui dedicato nella sua città natale, proprio nel sito dove pare si trovasse la sua casa di famiglia. E’ una bella chiesa barocca, dalla facciata elegante, con una piccola piazzetta davanti dove è stata sistemata una statua in bronzo del Santo che, secondo l’iconografia più classica, porta in braccio il Bambino. Ci si potrebbe trovare in una qualunque piccola piazza del nord Italia, se non fosse per il blu sfacciato dell’Oceano disteso a poche decine di metri dalla chiesa, e per le enormi nuvole candide che si rincorrono nel cielo infinito.

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Posata sul bordo estremo dell’Oceano, terra di esploratori e naviganti, Lisbona non poteva non rendere omaggio ai suoi tanti eroi leggendari partiti da queste sponde a bordo delle loro caravelle con le croci templari dipinte sulle vele, pronti ad affrontare l’ignoto con coraggio smisurato e a sfidare l’orizzonte per aprire vie nuove verso l’Africa, l’America del sud, le Indie, e le acque e le terre mai conosciute prima. Così, per celebrare i 500 anni dalla morte di Enrico il Navigatore, che abbiamo visto riposare nel bellissimo monastero di Batalha, hanno costruito un monumento che è un’enorme caravella di pietra, e hanno pensato di metterlo proprio sulle rive del Tago, lì dove le sue acque dolci si mescolano con quelle salate del mare.

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E’ un monumento sorprendente, e bellissimo. Una vela di pietra gonfia di vento pronta a salpare per nuove terre, enorme, possente, e leggera. Ai suoi lati, due file discendenti di uomini si accalcano verso la prua curiosi, attenti, pronti a qualunque avventura. Sono navigatori, eroi, re, poeti, i migliori uomini del Portogallo che hanno contribuito a fare la grande storia di questa terra posata al confine con l’ignoto.

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Sul pavimento dello spiazzo che accoglie il Monumento alle Scoperte, una enorme rosa dei venti e una mappa ricordano i viaggi degli antichi navigatori. Nel cielo, nuvole immense corrono verso l’Oceano, spinte dallo stesso vento che 500 anni fa gonfiava le vele delle caravelle portoghesi verso nuovi mondi.

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Poco più avanti sul lungofiume spazioso, sorge un’altra testimonianza dell’orgoglio portoghese per i suoi esploratori, la magnifica Torre di Belèm, voluta dal re Giovanni II per commemorare l’apertura della rotta per le Indie da parte di Vasco de Gama e per proteggere la foce del Tago.

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Costruita agli inizi del 1500, è un’impressionante torre quadrata alta circa 30 metri, possente, un bastione in pietra a più piani decorato da torrette, colonnine, merli e finestre in stile tipicamente manuelino, elegante e solitaria, strano faro senza luce posato sul bordo estremo dell’acqua.

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Non lontano dalla Torre di Belèm facciamo un’altra scoperta straordinaria, in questa città che celebra ovunque i suoi famosi navigatori, il Monasteiro dos Jeronimos. Costruito sulla pianta della piccola chiesa nella quale Vasco de Gama e i suoi marinai pregarono prima di cominciare il loro avventuroso viaggio verso l’India, è diventato uno dei gioielli di Lisbona, un edificio inconfondibile progettato nel più evoluto stile manuelino, che oltre al monastero comprende la chiesa, il chiostro, la sacrestia e il refettorio.

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Se il monastero è bello, il chiostro è assolutamente meraviglioso, e certamente il più bello che abbiamo visto fin qui tra quelli costruiti in questo particolarissimo stile portoghese ricco di rilievi, riccioli, tortiglioni, foglie e figure inquietanti. Strutturato su due livelli ornati di diverse serie di archi, colonne e guglie, è un pizzo di pietra che racchiude un quadrato di pace assoluta. Un’oasi di silenzio e armonia, una doppia galleria ombrosa che apre i suoi archi dolci sulla luce prepotente del cielo spazzato da un vento che profuma di mare.

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Tra gli spazi più belli c’è decisamente il Refettorio, completamente rivestito di spettacolari Azulejos floreali dai toni azzurri e gialli di un’eleganza rinascimentale. E sotto il loggiato silenzioso, sacro nel sacro, la sepoltura di Vasco de Gama, l’eroe, e il semplice cippo che è la tomba di Fernando Pessoa, anima di questo paese e coscienza artistica di questa terra di uomini avventurosi che hanno i sogni già scritti nel DNA.

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La chiesa del Monastero è all’altezza del resto del complesso, e una delle più belle che abbiamo visto in tutto il Portogallo. Costruita in stile gotico manuelino, ha tre navate ampie tracciate da colonne altissime scolpite in maniera spettacolare, con una volta a nervature intrecciate che rende la pietra elegante come un pizzo e leggera come una ragnatela.

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Dal livello superiore del chiostro si ha accesso a una balconata interna che si affaccia sulla navata centrale della Chiesa, dalla quale si può godere di uno spettacolo privilegiato sulla straordinaria architettura di questo edificio incluso dall’Unesco tra i tesori Patrimonio dell’Umanità. Questo sito è anche Panteon, in quanto include le tombe di vari re e regine portoghesi compreso quel Manuele I che diede il nome a questo insolito stile decorativo. Un gioiello sorprendente che da solo vale il viaggio in questa affascinante capitale.

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Una città che regala arte e bellezza ad ogni angolo, che è musica e storia, ed è soprattutto poesia nella figura onnipresente del suo rappresentante più significativo, il grande autore Fernando Pessoa oggi come in passato seduto al suo tavolo del Cafè a Brasileira, nel vivace quartiere del Chiado.

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Una capitale magica, Lisbona, grande, aperta, arrampicata sulla costa ultima dell’Oceano, divisa su due livelli quasi fosse impossibile tollerare tutta la sua bellezza in una volta sola, quasi fosse un peccato imperdonabile non regalare ai suoi visitatori certi indimenticabili Miradouros belli da lasciare senza parole.

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Il tempo è poco ma la personalità di questa città è potente, e lascia una traccia indelebile in noi. Le piazze enormi e vive, i castelli e le chiese, le funicolari con i loro assurdi dislivelli, i navigatori celebrati ovunque, i ponti, il fiume immenso, la pietra, le nuvole, la musica, le parole – Alfama, Bairro, Chiado, Baixa, Rossio, Miradouro, elevador – che suonano dolci come un Fado. E l’aria, la luce, l’Oceano. Qui è la radice della Saudade, ed è questo strano sentimento che ci rimane appiccicato addosso quando ripartiamo, la nostalgia di questa città magnifica e la voglia di tornarci presto.

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Venerdì 18 maggio 2012: Cabo da Roca – Cascais – Estoril – Evora

Sintra ci è piaciuta molto, ma dobbiamo lasciare il nostro appartamentino di prima mattina per cominciare la nostra ultima giornata di visite prima di raggiungere la capitale, Lisbona. Acquistiamo dei biscotti tipici a una pasticceria sulla piazza principale, per portare via con noi un dolce ricordo di questa cittadina, e ci rimettiamo in auto, destinazione Cabo da Roca.

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Cabo da Roca non è un paese vero e proprio ma un promontorio roccioso che si affaccia a strapiombo sull’Oceano Atlantico, famoso non solo per la sua bellezza naturale ma perché e’ il punto più a ovest d’Europa. Come dire che quando disegni la cartina dell’Europa, questo e’ il punto che più di tutti si protende verso occidente. Oltre queste rocce c’è solo acqua, tutta l’immensa striscia blu dell’Oceano che divide il nostro continente dall’America. Un ennesimo Finis Terrae di quelli che piacciono a me, che abbiamo già tracciato anche in Irlanda, in Spagna e in Francia, solo che questo è quello vero, proprio il più sporgente di tutti, la vera punta della freccia che indica la via verso il Nuovo Mondo.

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A segnalare il Cabo c’è un bel faro, come in molti posti del genere, una costruzione larga e bassa con una torretta in pietra sormontata da una grossa lanterna di metallo rosso. E’ semplice, ma suggestiva e affascinante come solo i fari sanno essere; colorati, solitari, vigili, strane sentinelle perpetuamente intente a lanciare il loro messaggio rovesciato – attenzione naviganti, qui finisce il mare, e comincia la terra.

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Non c’è molto nella zona del Cabo oltre al faro, solo una specie di obelisco di pietra con una croce in cima, e un grande prato fiorito che si getta nello strapiombo della falesia, alta più di 100 metri. Null’altro. Ma questo luogo e’ preso regolarmente d’assalto dai numerosissimi gruppi di turisti che si trovano a passare da queste parti, perché è bellissima da vedere, questa immensa distesa d’acqua che dilaga a perdita d’occhio davanti a te, e pensare che, anche se sembra impossibile, invece a un certo punto finisce, e arrivi in America.

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Insomma, se ti affacci di qui e guardi bene, laggiù in fondo in fondo puoi vedere New York. Nei giorni senza foschia, come dice Luca.

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Volendo, all’ufficio del turismo del Cabo ti rilasciano anche un certificato che attesta che ci sei stato, nel punto più occidentale del continente europeo, ci hai messo i piedi, e più di lì non potevi andare. Ma devi pagarlo la bellezza di 5,20€, oppure 10,00€ se lo vuoi in versione un po’ più fighetta. Ci e’ sembrata una trappola troppo palesemente turistica, così abbiamo lasciato perdere,decidendo che le nostre foto saranno una prova più che sufficiente a testimoniare l’evento.

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Falesia a parte, è veramente bellissimo il mare, qui. E’ quello che la gente viene a vedere fin quaggiù, l’Oceano – senza fine, disteso davanti a questo estremo lembo di terra che punta a ovest, ritaglio irregolare di puzzle che si incastra perfettamente nel continente liquido. Non si può andare oltre, da qui, se non con lo sguardo. O con il coraggio folle dei grandi navigatori portoghesi che si lasciarono questa terra alle spalle portando il loro sogno e la loro lingua in tutto il Sudamerica. Una meraviglia rara. Ce ne andiamo prima che arrivino i bus carichi di turisti vocianti, per conservare nel nostro ricordo l’atmosfera magica di silenzio e solitudine che questo luogo ci ha regalato.

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Da Cabo de Roca ci dirigiamo direttamente a Cascais, famosa località balneare poco fuori Lisbona tra le preferite dei portoghesi come meta di vacanze estive. E’ una cittadina molto piccola ma affascinante, con un porticciolo sul mare e un famoso mercato del pesce che si anima ogni mattina al rientro dei pescherecci locali.

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Caratteristici della cittadina sono alcuni edifici eleganti e una piazza con la tipica pavimentazione a motivi geometrici bianchi e neri, che regala l’impressione di camminare dentro a un gigantesco disegno a china.

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Visitiamo anche la chiesa, dall’architettura semplice ,ma che offre allo sguardo metri e metri di bellissimi Azulejos a tema religioso che decorano le pareti e l’altare. C’è un pellegrino che conosciamo, nel giardinetto davanti al sagrato, uno di quelli che nei suoi innumerevoli viaggi sarà certamente arrivato anche qui.

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La zona più bella è comunque quella del porto, con le mura degli antichi bastioni, i giardini, la passeggiata a mare, e il faro di Santa Marta a righe bianche e azzurre (chissà perché sono quasi sempre a righe, i fari). In un piccolo slargo proprio lungo il molo ci colpisce la vista di un’insolita statua in bronzo: è un comandante in divisa, fisicamente ben piazzato, dallo sguardo immobile, che fissa l’Oceano di fronte a sé dalla sua postazione di vedetta sul ponte di una nave invisibile. Un inatteso Drogo in versione marinara che scruta perennemente l’orizzonte, aspettando chissà quali invasori.

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E’ una cittadina piccola e semplice Cascais, ma di grande fascino, quello un po’ scolorito dei posti che hanno visto tempi migliori, ma che neanche il passare inesorabile del tempo riesce a rovinare del tutto. Un luogo che vale una piccola sosta.

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Circa 3 km oltre Cascais troviamo Estoril, dove paghiamo la ragguardevole cifra di 0,60€ per parcheggiare la nostra auto nella piazza principale di questa nota località balneare. Più che nota, Estoril è stata fino a qualche anno fa una cittadina decisamente rinomata, meta mondana di VIP e rifugio di molte famiglie reali europee, una specie di Montecarlo in versione portoghese dove trovare alberghi di lusso con giardini di palme e campi da golf, spiagge attrezzate, musica fino a notte fonda e un famoso Casinò aperto giorno e notte. Ma soprattutto, qui si teneva ogni anno un evento che attirava moltissimi visitatori, la tappa portoghese del Gran Premio di Formula 1.

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Oggi le cose sono un po’ cambiate, il Gran Premio non si corre più, buona parte della vita notturna si è trasferita a Lisbona, e il Casinò apre solo dopo le 15,00. Quel che resta è un paesino posato davanti all’Oceano affascinante come un villaggio di fiabe, con il suo castello, la spiaggia, un lungo molo di legno, e un mare cristallino che per la prima volta non somiglia neppure lontanamente all’Atlantico immenso e grigio visto fin qui.

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Tra il Casinò e l’Oceano, la scelta è semplice. Attraversiamo la piazza e la via del lungomare cercando l’accesso alla spiaggia, e poco dopo scopriamo qualcosa di inaspettato. Lungo la costa, esattamente tra la spiaggia e la strada, corre la ferrovia. Passa proprio in mezzo, parallela a entrambe, e di fatto taglia via la spiaggia dal resto del paese. L’unico modo per raggiungere l’area attrezzata è attraversare la stazione. Si deve camminare per un pezzo lungo la pensilina del binario 1 e scendere la scala del sottopassaggio come se si dovesse partire, invece poi, proprio all’ultimo, si va dritti invece di voltare verso il binario 2, si sale una breve scaletta e si sbuca direttamente sulla spiaggia. Il profumo intenso del salmastro arriva già sotto il tunnel, dove i viaggiatori con borse e valige si mescolano ai bagnanti in ciabatte che vanno agli ombrelloni con l’asciugamano a spalla. Alla fine, è tutto solo una questione di destinazione.

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La spiaggia è bellissima, lunga e bianca, con sabbia fine e rocce lisciate da secoli di carezze atlantiche. Un mare trasparente con riflessi turchesi e radi ombrelloni di palme completano il quadro da angolo di paradiso tropicale. Per la prima volta so che farei il bagno in questo Oceano senza la minima paura. Se non fosse per il cielo di quell’azzurro inconfondibile dove immense nuvole bianche si inseguono come lenzuola impazzite, potrebbe sembrare una tipica località di vacanza esotica.

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Facciamo con piacere una passeggiata per il paese, lindo e ordinato come un presepe di lusso, ma quando risaliamo in auto sentiamo che non avremo poi troppa nostalgia di questa cartolina elegante. Un luogo decisamente più adatto ad annoiati re e regine in esilio che a vagabondi curiosi come noi.

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Recuperiamo l’auto e lasciamo Estoril, direzione Evora. Un’altra delle mete speciali di questo viaggio, dalla quale ci aspettiamo molto. La raggiungiamo all’ora di pranzo, dopo un lungo tratto di autostrada, e ci sistemiamo alla Pension Policarpo, affascinante b&b di grande atmosfera, semplice ma con un bell’arredamento tradizionale, che ha almeno due grandi vantaggi, la posizione centrale e il parcheggio riservato gratuito. La giornata si è fatta calda e luminosa, le case imbiancate a calce e decorate da fregi color ocra sono coperte di fiori, e si stagliano nitide contro l’azzurro intenso del cielo. Ad un tratto il paesaggio si è fatto mediterraneo.

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Ci sistemiamo e usciamo a cercare qualcosa da mangiare, fa così caldo che decidiamo per un piccolo chiosco all’aperto dove mangiamo ottimi panini seduti sotto a un ombrellone, completando lo spuntino con i dolcetti acquistati questa mattina a Sintra. Siamo accanto ad un bel giardino, con aiuole, prati e panchine, ma l’elemento che ci colpisce di più è una strana fontana sistemata proprio in fondo alla terrazza panoramica, con una vasca triangolare al cui centro due buffe figure stilizzate che sembrano appena uscite da un fumetto si scambiano un bacio di marmo senza fine.

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Fin da subito, Evora ci appare per quello che è: una bellissima città-museo circondata dall’originaria cinta muraria le cui tracce risalgono indietro fino ai Romani, un luogo pieno di fascino e di storia, e decisamente una delle radici più antiche della nazione portoghese. Le stradine acciottolate si incrociano tra salite e scalinate, ordinate e silenziose, abbellite qua e là da azulejos fioriti e piccoli balconi di ferro battuto lavorato a mano. Imponenti e misteriosi, spiccano sulla piazza i resti del tempio di Diana, con le 14 colonne corinzie ancora in piedi dal II secolo AC, anno della sua costruzione avvenuta sotto il regno di Cesare Augusto. Un testimone che non ti aspetti, messo lì in mezzo alle case bianche, così classico e mediterraneo, lontanissimo e familiare a un tempo.

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Tra le visite da non perdere c’è certamente la Cattedrale gotica, una costruzione in pietra risalente al XIII secolo che è a tutt’oggi la cattedrale cattolica più grande di tutto il Portogallo. Costruita in stile misto romanico e gotico, colpisce immediatamente per la sua imponenza e per l’aspetto di chiesa-fortezza tipico del periodo, con il grande portale a ogiva fiancheggiato dalle statue dei 12 Apostoli e due alte torri laterali a fare da sentinelle all’ingresso dei fedeli.

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Il biglietto d’ingresso costa 3,50€ e permette l’accesso al chiostro interno e alla torre,che porta al tetto. Il chiostro è molto bello nella sua semplicità, con un camminamento perimetrale elegante, soffitti a volte e colonne sottili che uniscono archi aperti verso un giardino che è quello tipico dei chiostri, ritaglio silenzioso dal caos del mondo esterno.

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L’interno della cattedrale di Santa Maria Assunta è molto interessante, con una navata ampia e lunga dal classico soffitto altissimo, delicate colonne in pietra, decorazioni sofisticate sugli altari, e una insolita statua lignea policroma di una Madonna del parto con la mano posata sul ventre rotondo che è venerata in tutta la regione per la sua fama di elargitrice di grazie alle donne che desiderano un figlio.

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Ma anche più bello dell’interno è il panorama che si gode dalla cima della Sè, una volta scalata la chiocciola della Torre che porta proprio sul tetto della cattedrale-fortezza. Uno spettacolo straordinario di spazi aperti verso l’infinito, tra torrette, cuspidi, comignoli, vele campanarie ed elementi decorativi gotici, con un panorama che dilaga a perdita d’occhio su tutta la regione dell’Alentejo, di cui questa magnifica città è il capoluogo.

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Verso l’esterno, lo spazio infinito e libero di un’intera regione e tutto il cielo del Portogallo, abbellito da batuffoli di nuvole sospese così perfette da sembrare finte. Verso l’interno, la conchiglia chiusa del chiostro, la pace, il silenzio, il raccoglimento, il mondo dello spirito ritagliato via dal reale dalle mura protettive della chiesa-fortezza. Tutti e due bellissimi. Ma più bello di tutto è stare quassù in cima al tetto, sopra a tutto, e poter vedere questo e quello, e non essere obbligati a stare dentro a nessuno dei due.

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Dopo la Sè visitiamo un’altra chiesa famosa di Evora, quella di San Francesco, a lato della quale c’è una cappella nota per una lugubre caratteristica: la Capela dos Ossos. Questa cappella francescana del XVI secolo è molto conosciuta per le sue decorazioni inquietanti che furono realizzate utilizzando proprio ossa umane. Avevo visto qualcosa del genere a Roma molti anni fa, nella cripta dei cappuccini di Santa Maria Immacolata a Via Veneto, dove le cappelle sono più piccole e più numerose e le decorazioni molto più artistiche, ma l’effetto è più o meno lo stesso. Anche qui, le pareti, le colonne, le volte, le finestre, ogni porzione della cappella è ricoperta da ossa e teschi umani appartenuti ai frati francescani che vivevano nella zona, un materiale ricavato da un totale di oltre 5000 persone. Il risultato finale e’ decisamente macabro, ma l’intento dei frati che ebbero questa idea non era di spaventare o far inorridire i visitatori, bensì quello di farli riflettere sulla precarietà della vita, sull’inutilità della vanità e sul tempo che ci è concesso su questa terra, tanto più prezioso quanto più si è consapevoli della sua brevità. Sulla porta un’iscrizione dice: “noi ossa che siamo qui aspettiamo le vostre”. Non molto allegro, in effetti. Comunque, visitare questa insolita cappella non mi lascia tanto sgomenta quanto pensare a come si saranno sentiti quei frati che la realizzarono, chiusi lì per giorni e notti a selezionare ossa da montagne di scheletri di loro confratelli scavati dai cimiteri locali, e scegliere come e dove sistemarli in questa macabra decorazione muraria.

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Solo all’uscita della Capela dos Ossos mi accorgo che, purtroppo, in un qualche momento di questa giornata di visita per chiostri e chiese, deve essersi sfilato uno dei miei orecchini di Thun con le coccinelle, e si è perso. Sono molto dispiaciuta di questo fatto, non per il suo valore intrinseco ma perché era un regalo da parte di persone che amo molto e che mi amano molto, e per me era un oggetto speciale. Potrei averlo perso sui tetti della Se’, perché ogni tanto, quando eravamo lassù, ho passato agli altri la mia macchina fotografica per farmi fare una foto, e forse nel togliermi il laccio dal collo l’orecchino si e’ sfilato, ma è solo un’ipotesi. Abbiamo fatto così tanti passi da stamani, non è facile indovinare dove possa essere caduto. Continuiamo il nostro giro guardando per terra mentre camminiamo per le stradine già percorse e per i giardini, nella vaga speranza di poterlo notare da qualche parte, ma sappiamo che le probabilità di ritrovarlo sono quasi inesistenti. Il mio morale è visibilmente a terra, tanto che poco dopo, in un negozio di artigianato locale, i nostri amici mi regalano un nuovo paio di bellissimi orecchini in argento e sughero con dei piccoli pendenti a forma di farfalla, facendomi luccicare di nuovo gli occhi di gioia. Non importa che i regali siano preziosi, quando lo è chi te li fa.

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Non possiamo completare la visita a questa meravigliosa cittadina medievale senza arrivare alla sua Università, la seconda più antica del Portogallo dopo quella di Coimbra. La sede attuale è ancora nel palazzo originario del 1559, Il Collegio dello Spirito Santo, un bellissimo edificio con un cortile interno circondato sui lati da un loggiato a due livelli incredibilmente elegante, delimitato da archi e colonne. Per visitare l’interno ci mescoliamo agli studenti provenienti da tutto il mondo, indaffarati dietro ai loro zaini pieni di libri e sogni, e l’ambiente che scopriamo è interessante e vivace. Naturalmente, anche qui non mancano intere pareti decorate di Azulejos di un blu intenso, preziose testimoni di un antico passato culturale che continuano a ispirare chi viene qui a studiare come costruire il futuro.

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Nel nostro lungo giro della città arriviamo fino ai suoi bordi estremi dove si può ancora vedere un tratto dell’antico acquedotto romano detto del Sertorio, lungo oltre 4 chilometri. L’espansione del piccolo borgo ha portato all’incontro tra questa magnifica infrastruttura antica e la periferia abitata, permettendoci così di assistere ad un fenomeno insolito. Nel suo dilagare verso l’esterno, il quartiere ha sfiorato, e poi raggiunto, e quindi inglobato l’antico acquedotto, facendolo diventare parte integrante dell’area abitata;. Il risultato è alquanto bizzarro: mura e finestre costruite sotto le arcate, archi accecati utilizzati come pareti divisorie, entrate di negozi che si aprono direttamente sotto le volte, e case intonacate a calce addossate direttamente ai piloni dell’acquedotto romano, in una sorta di invasione barbarica allegra e informale che ha integrato passato e presente senza alcuna difficoltà, con uno straordinario impatto estetico finale.

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Ceniamo in un locale del centro e dopo un’ultima passeggiata me ne vado a letto contenta per la visita a questa antica città, certo una delle mie preferite fino a questo momento, e rattristata solo per il mio orecchino perduto, rimasto da qualche sotto la pioggia battente di questa notte. Un pezzetto di me che lascio per sempre in questo luogo bellissimo.
Ci penso ancora la mattina dopo, non riesco a rassegnarmi all’idea di aver perso un oggetto così speciale, sento che è là fuori che vuole essere ritrovato e che devo fare almeno un ultimo tentativo prima di ripartire. Così lascio che gli altri sbrighino le formalità del check out e del carico dei bagagli per fare di nuovo una corsa fino alla Sè, dove credo di averlo perso. Visto che l’ingresso è a pagamento, spiego in qualche modo la situazione alla signora della biglietteria chiedendo se per caso le è stato recapitato un orecchino smarrito uguale a quello che tengo in mano, ma lei non ne sa nulla. Però è gentilissima e mi invita senza che neppure glielo chieda ad entrare nella chiesa a cercare. Percorro la navata con gli occhi a terra, ma so che le probabilità di trovarlo qui sono poche, sento che l’ho perso all’aperto, sul tetto, ma non oso chiedere che mi facciano andare fino su senza pagare. Un signore seduto accanto al bancone della biglietteria mi vede tornare mestamente dalla mia missione di ricerca e mi chiede più dettagli su quello che è successo, così gli spiego il giro che abbiamo fatto ieri e la mia sensazione di averlo perso sul tetto, in cima alla torre, dove non penso di poter salire. Invece lui dice: su? allora vai a vedere! Ma non ho il biglietto… Vai vai, corri! E mentre lo dice, sorride. Non riesco a credere alla gentilezza e alla cortesia di queste persone, alla semplicità con cui riescono a distinguere un dovere da un favore. Salgo la scala a chiocciola della torre come un fulmine, so che ho poco tempo e poche speranze, gli altri mi aspettano e non voglio che perdano tempo per colpa mia, ma voglio ripartire sapendo di non aver lasciato nulla di intentato. Il tetto è grande e chissà dove può essere caduto, ammesso che lo abbia perso proprio quassù come sono assurdamente certa che sia accaduto. Ignoro le uniche altre due persone presenti sul tetto ad ammirare il panorama e comincio a cercare in giro scannerizzando il suolo con lo sguardo, col respiro affannato per le scale fatte di corsa e la sensazione di avere troppo poco tempo a disposizione. Ma non me ne serve molto. Fatti pochi passi verso una torretta, mi pare di vedere da lontano qualcosa di arancione per terra, un piccolo oggetto colorato che spicca sul grigio delle pietre umide. Mi fermo, non è possibile. Sarà qualcos’altro, un foglietto di caramella o uno scherzo della mia miopia, non può essere proprio il mio orecchino. In pochi passi sono lì, e solo quando lo tocco e lo raccolgo nella mano chiudendolo stretto nel pugno mi rendo che è vero – l’ho ritrovato! L’ho cercato più per disperazione che per convinzione, sono salita quassù solo per dire che ci avevo guardato, solo per seguire una sensazione, un richiamo istintivo che nulla aveva a che fare con la mia razionalità ma che mi avrebbe permesso di andare via da qui più serena, e invece l’ho trovato davvero! L’incredulità è così forte che mi travolge come un’onda improvvisa e mi metto a ridere da sola, continuando a stringere nella mano la mia coccinella arancione come se temessi di vederla volare via. Scendo la scala della torre di corsa ripetendomi che è incredibile, e in un attimo sono di nuovo al banco della biglietteria, dove il signore che mi ha lasciata salire su mi vede arrivare di corsa con la mano stretta davanti a me, felicissima: incredibile, guardi! l’ho trovato! l’ho trovato! Apro la mano solo nel momento in cui arrivo davanti a lui, per mostrargli il risultato miracoloso della mia follia e della sua gentilezza unite insieme, e lui ha un reazione che mi lascia di stucco. Si mette a ridere e a parlarmi in portoghese, sembra perfino più contento di me, tocca l’orecchino dicendo qualcosa che deve essere di congratulazioni, poi mi racchiude le mani nelle sue e le bacia, felicissimo. Non avrebbe potuto condividere più sinceramente la sua gioia per questo piccolo miracolo. Mi commuove che lui sia così contento solo perché vede che io lo sono. Lo ringrazio mille volte, lui e l’altra signora, e poi scappo via, verso Luca e gli altri che mi aspettano, col mio tesoro stretto nella mano. Quando la riapro, vedo riflesso sui loro volti lo stupore che deve essere stato il mio nel momento esatto in cui ho raccolto la coccinella dal tetto. Da questo momento, Evora per noi è definitivamente magica. Dopo tutto Lisbona, a pochi chilometri da qui, è la città d’origine di Sant’Antonio, che è il protettore degli oggetti smarriti, e la nostra amica è proprio di Padova, la città del Santo. Coincidenze, certo. Che però ci fanno ripartire più allegri verso la capitale di questa terra bellissima.

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