Il mondo di Sally

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Il mondo di Sally

Giovedì 18 agosto 2016: Aberglasney Garden – Wales National Botanic Garden – Swansea

Finisce qui anche la seconda settimana di tour purtroppo, ma ogni giorno nuove bellezze si sommano alle precedenti. Stamani il nostro Inn si è fatto perdonare per la colazione di ieri e ci ha servito ottimi piatti. Una ricca full Welsh per Luca senza funghi né pomodoro molliccio, e beans on toast per me con uovo fritto, tutto molto buono. E poi yogurt, marmellate, toast, frutta e cereali a piacere, tè e caffè come da prassi. L’unico neo del soggiorno è stato il Wi-Fi che in camera proprio non andava. Il gestore ha detto che ha avuto un problema giorni fa e ha chiamato subito l’assistenza, ma “qui non è mica Londra che arrivano in un momento…. qui bisogna aspettare!”

La prima tappa di oggi è molto vicina, in un mini paesino che si nota appena passandoci attraverso, ma che in una zona esterna in mezzo alla campagna racchiude questo piccolo tesoro che si chiama Aberglasney Garden.

Purtroppo questo giardino non fa parte di nessuna associazione per cui dobbiamo pagare il biglietto, ma ci si può stare se il contributo serve a mantenerlo in vita. Anche se non è enorme come altri che abbiamo visitato in passato, è un giardino magnifico, elegante e perfettamente curato, con molte zone diversificate e dedicate a coltivazioni specifiche. C’è la zona del giardino all’italiana con le siepi geometriche, il bosco di conifere, e il walled garden con una moltitudine di fiori colorati che sembrano invadere ogni centimetro disponibile intorno a noi.

C’è l’orto con zucchine e insalate pronte da cogliere, e incredibili alberelli di mele alti non più di mezzo metro e fatti crescere solo in larghezza, con tutte queste piccole mele rosse e gialle appese ai rami come festoni di lampadine a una sagra estiva di paese. Nello stagno galleggiano ninfee bianche grandi come cavoli, e c’è anche una zona con il giardino d’acqua dove un signore sta facendo manutenzione alla vasca, che dovrebbe riempirsi più tardi.

Ci sono boschetti e ponticelli, e una serra dove stanno già crescendo grosse zucche arancioni. Soprattutto ci sono una quantità di dalie bellissime, di molte varietà e colori, spesso mescolate con delle spighe dorate dai ciuffetti soffici come piume, che creano un insieme molto elegante. E naturalmente ci sono ortensie, camelie, magnolie, peonie, lantane e begonie, e molti crochi luciferi dai fiori arancioni che mi piacciono tantissimo e che dovrò trovare dalle nostre parti per piantarli nel nostro giardino.

Su un prato laterale c’è un bellissimo tunnel di tasso molto vecchio, che però non possiamo percorrere perché alcuni giardinieri lo stanno potando e sistemando. C’è anche una bella caffetteria all’ombra della casa principale, di fronte allo stagno, e ne approfittiamo per bere qualcosa di fresco dopo la lunga camminata sotto un sole caldo. Le previsioni TV stamani dicevano che c’era possibilità di pioggia, ma a parte alcune nuvole di passaggio, non si è visto nulla. Meglio, così possiamo girare per questo bel giardino senza senza problemi, in mezzo a questa esplosione di bellezza a un tempo spontanea e controllata, che mostra il meglio di se’ negli spazi che l’uomo ha lasciato a sua disposizione.

La seconda tappa è a pochi chilometri da qui, ci arriviamo in neanche 10 minuti ed è ancora un giardino, stavolta nientemeno che il Giardino Botanico Nazionale del Galles. Tutta dedicata ai fiori, questa giornata. L’ingresso è moderno e molto bello e il biglietto vale una settimana – una cosa carina, per chi lo può sfruttare.

Questo giardino botanico è il più grande del Galles e il più nuovo, è stato inaugurato nel 2000 ed è stato il primo giardino britannico aperto nel nuovo millennio. Un lungo viale con vasche d’acqua e aiuole con piante antiche e grosse rocce conduce fino ai giardini principali, suddivisi per tipologia.

I walled gardens, gli orti, la zona della piante officinali accanto a una bellissima ricostruzione di una farmacia ottocentesca con tutti i vasi allineati sugli scaffali per esporre i rimedi a base naturale, gli oli, le polveri, le essenze, le pomate, gli estratti e tutto quello che la medicina più antica era riuscita a ottenere con l’aiuto della natura.

Ma la zona protagonista di questo giardino botanico è sicuramente la grande serra centrale, una specie di enorme disco volante con il tetto in vetro e le pareti a scivolo ricoperte di prato che è una struttura unica nel suo genere, in quanto è la cupola in vetro a campata unica più grande del mondo. Dentro sono conservati habitat rappresentativi di differenti zone calde della terra, come la California, le Isole Canarie, il Cile, l’Australia e altri luoghi in cui i particolari tipi di vegetazione risultano più a rischio di estinzione.

È molto bella, forse più la struttura che non l’esposizione di piante in sé, ma dentro fa molto caldo così, anche se c’è una caffetteria e abbiamo fame, usciamo a cercare qualcos’altro, visto che ci sono almeno 3 posti che offrono cibo nel giardino. Scegliamo quello nelle vecchie stalle e ci sediamo all’ombra a mangiare sandwich e baguette e bere succhi freschi, e ci prendiamo anche un gelato per combattere il caldo e la fatica.

Dopo una meritata pausa continuiamo il giro e troviamo il Pili Pala (casa delle farfalle) che è forse la cosa che più mi piace di questo posto. Le farfalle non sono moltissime come nel Pili Pala di Anglesey, ma l’ambiente naturale in cui volano qui è eccezionale, di livello davvero alto.

Piante e fiori tropicali sono sistemati in modo da ricreare un ambiente magicamente esotico, e le farfalle che svolazzano in mezzo ai visitatori non fanno che rendere questa serra ancora più affascinante. Quando passiamo davanti alla teca che contiene le crisalidi uno degli inservienti apre il vetro e piano piano libera 3 o 4 farfalle di tipo diverso che sono appena uscite dal loro bozzolo e hanno schiuso lei ali per la prima volta. Stanno provando il loro primo volo, e assistiamo con emozione al loro tentativo di gestire un corpo completamente nuovo che fa cose che quello precedente neppure si sognava di poter fare. Un miracolo della natura che si compie davanti ai nostri occhi stupiti. Bellissimo.

Oltrepassiamo un angolo particolarmente pacifico che ricostruisce un classico giardino giapponese completo di acero rosso e piccolo corso d’acqua, e arriviamo fino al giardino delle api, che si possono ammirare da dietro ai vetri mentre una signora con indosso la tuta protettiva sta eseguendo i lavori necessari al mantenimento delle piante. Ci sono almeno 6 o 7 arnie e in tutte c’è un grande affaccendarsi di questi straordinari piccoli insetti che hanno una così grande importanza per la sopravvivenza del pianeta, e dei quali siamo grandissimi ammiratori.

Uno degli ultimi giardini a tema che raggiungiamo è tra quelli che visito più volentieri perché contiene la collezione delle dalie, decisamente tra i miei fiori preferiti. Un’armonia di forme e colori scintillanti, una sequenza di fuochi d’artificio profumati che incantano la vista. Bellissime.

Tornando indietro passiamo per una zona ampia e libera dominata da un grande edificio elegante, parte della sede amministrativa del giardino botanico, davanti al quale incontriamo una creatura speciale acquattata nel grande prato: un drago. Se non qui, dove?

Il giardino confina con una vasta area di campagna aperta e libera, da dove si diramano alcuni sentieri percorribili a piedi da chi vuole esplorare i dintorni.

Alla fine del giro torniamo verso l’uscita e passiamo per lo shop, dove vendono piante ma anche simpatici accessori da giardino come statuette di animali vari, gufi, pecore, gatti, rane, lontre, topolini, uccellini, papere, tutti bellissimi e – purtroppo – tutti in pietra, dunque pesantissimi e assolutamente impossibili da riportare a casa in aereo. Un vero peccato. C’è anche una caffetteria, e ci sediamo a bere qualcosa, Luca un succo ma io un buon tè, visto che è ora, prima di tornare alla macchina.

Raggiungiamo Swansea e la stanza di stasera in poco più di mezz’ora, in una piccola pensione non lontano dal mare, in questa città famosa per essere il luogo natale di Dylan Thomas. Il signore che ci accoglie è gentilissimo e ci dà istruzioni e consigli per la cena, anche se poi andiamo a mangiare in una zona diversa da quella da lui indicata.

Quindi ci riposiamo finalmente, dopo una lunga giornata a girovagare in mezzo ai fiori. E domani, se tutto va bene, faremo qualcosa di veramente gallese.

Mercoledì 17 agosto 2016: Dinefwr Park and Castle – Rhossili Bay

Notte tranquilla al nostro grazioso Inn, anche se ieri sera faceva molto caldo e abbiamo usufruito del ventilatore a pale sistemato sul soffitto. Mah, mettono il ventilatore e poi c’è il piumone sul letto, che strano modo di affrontare l’estate.
Ma se la notte è buona e silenziosa, la colazione ci delude un po’. La full Welsh che ordiniamo non è all’altezza per quantità e qualità della preparazione (le uova sono insipide, il pomodoro è in barattolo e non c’è neppure l’ombra dei fagioli) ma pazienza, poteva anche andare peggio. Non siamo i soli che restano delusi comunque, e una famiglia di olandesi si lamenta con la cameriera che però non se la prende troppo. Dopo colazione andiamo un attimo nella lounge per controllare la posta elettronica, perché in camera il segnale era debolissimo, quindi prendiamo la macchina e ci dirigiamo verso il Dinefwr Park, il cui cancello è praticamente qui fuori, a neanche 500 metri di distanza, e che ha un viale di ingresso che sarà lungo un chilometro. Dato che anche questo è un bene gestito dal National Trust, mostro fiduciosa le card del FAI alla ragazza della biglietteria, che è situata prima del parcheggio. Lei le guarda stupita come fossero pezzi di meteorite scesi dal cielo, poi me le restituisce e anche se non ha mai visto nulla di simile in vita sua mi dice “ok I trust you”, ci dà i braccialetti di carta da indossare per segnalare che siamo visitatori autorizzati e ci lascia entrare gratis, parking fee inclusa. Lo so che stiamo effettivamente esercitando un nostro diritto e non stiamo truffando nessuno, ma mi piacerebbe che tutte queste biglietterie avessero sottomano l’elenco delle varie associazioni gemellate con il NT, non solo alcune, in modo da riconoscere al volo le tessere dei soci non britannici e far sentire tutti meglio. Anyway.

Una ragazza molto gentile del centro visitatori ci dà una mappa del parco, che è molto grande e comprende un castello in rovina, diversi edifici utili alla gestione della casa padronale, uno stagno, un bosco, un branco di cervi autoctoni e la Newton House, che è la magione principale. Cominciamo proprio da quella, che è giusto dietro l’angolo ed è bellissima.

Si tratta di una elegante villa a più livelli costruita a metà del XVII secolo dalla famiglia Rice e poi molto rimaneggiata a causa di vari danneggiamenti, cui a metà ottocento fu aggiunta addirittura una facciata vittoriana con 4 torrette agli angoli sormontate da tetti a forma di cono. Buona parte delle torri è ricoperta di edera e di fronte all’ingresso c’è una piccola loggia quadrata con archi gotici molto suggestiva, che contribuisce all’atmosfera pittoresca dell’edificio. Di fronte alla casa un piccolo giardino formale di siepi verdi e fiorite contribuisce a conferire alla casa l’aspetto autorevole di piccolo castello nobiliare.

All’interno la solita signora di mezza età bionda e assolutamente gentilissima (sembrano fatte in serie…) ci accoglie e ci spiega un po’ di storia della casa, quindi ci indica il percorso consigliato per la visita e ci lascia liberi di gironzolare a piacere. Scendiamo la scala che porta al seminterrato e ci ritroviamo nei locali riservati alla servitù, così come erano organizzati quando questa era la casa di un Lord. C’è la stanza dove si tenevano in ordine gli abiti, con il vecchio ferro da stiro tutto in ferro, le spazzole e i lucidi da scarpe, gli spazzolini per lucidare i cappelli e le forme per le calzature da uomo e da donna. Si può toccare tutto e provare a fare i mestieri così, mentre io mi prendo cura di camicie e cappelli, Luca si prova una giacca con le code da maggiordomo che è proprio della sua misura, e che gli cade a pennello. Quando si dice le physique du rôle…

C’è la stanza dei bauli da viaggio, quella degli attrezzi sportivi, con mazze da polo e da cricket, racchette da tennis e set da bocce, e più avanti una piccola cantina di vini e una stanza blindata dove è conservata l’argenteria. In fondo c’è la camera del maggiordomo, con un letto, un armadio, una poltrona e un tavolo con un vassoio pronto per la colazione e un piccolo ferro da stiro per lisciare il giornale da portare al Lord di casa alle 8 in punto.

In una saletta con le panchine un filmato su un grande televisore mostra i vari servitori in costume che spiegano i loro compiti quotidiani, i loro diritti e doveri, e le difficoltà di gestire alla perfezione una macchina complicata come una casa di queste dimensioni con padroni di questo livello sociale. Mi viene subito in mente “Quel che resta del giorno”, film bellissimo che ricostruisce questo tipo particolare di microcosmo umano ormai quasi scomparso come meglio non si potrebbe.

Saliamo al piano superiore, che è quello padronale, dove l’atmosfera è assai diversa. Molta luce, grandi finestre che danno sul giardino fiorito, salotti decorati di velluto, una grande sala da pranzo con un tavolo apparecchiato per un banchetto da almeno 30 invitati, con cristalli, argenterie e porcellane raffinate sistemate su una tovaglia bordeaux.

La Drawing Room è molto grande, con un caminetto notevole e poltrone fiorite, e intorno alcuni tavoli da gioco e un pianoforte, che chi vuole può suonare liberamente. Una signora lo fa, non benissimo ma insomma, se la cava.

C’è anche una stanza dedicata alla storia della casa e dei suoi diversi proprietari, una che ricorda il tempo in cui fu trasformata in ospedale militare durante la seconda guerra mondiale, e una in cui si testimonia l’opera e l’influenza di Capability Brown nei giardini della tenuta, dato che il famoso “parrucchiere della natura” ha lavorato qui a lungo, definendo questo parco uno dei più belli e rappresentativi del Galles.

Dopo il giro all’interno usciamo e cominciamo a gironzolare in questo famoso parco, scovando subito il branco dei cervi raggruppati in fondo a un prato vicino a una recinzione. Sono bellissimi, placidi e timidi, di taglia piccola, color nocciola con i pomelli bianchi sul dorso gli adulti, mentre i cuccioli sono color miele scuro.

Prendiamo un sentiero che si addentra proprio nella zona dei cervi, e dopo un lungo giro li ritroviamo prendendoli alle spalle. Mi avvicino piano piano da dietro un albero, mi hanno vista ma non sono scappati, sono almeno una quindicina a neanche dieci metri di distanza. Faccio un po’ di foto ma non mi avvicino troppo perché non li voglio spaventare.


Si sono sistemati in un punto ideale, con la Newton House proprio alle spalle a fare da sfondo perfetto a questa scena inattesa che ci troviamo davanti, così bella da sembrare irreale. Basta un bosco, dei cervi, ed è subito fiaba.

Proseguiamo nel folto del bosco per un sentiero piuttosto faticoso alla ricerca del castello, e naturalmente abbiamo preso la via più lunga per raggiungerlo. Non è la lunghezza il problema ma il fatto che ci sono molti tratti in salita, il mio nemico pubblico numero 2… Luca procede spedito e anzi saltella qua e là per farmi coraggio, cercando di capire in che punto siamo della nostra mappa. Incontriamo un mulino d’acqua per la produzione di energia, piccolo ma ben tenuto, nascosto nel folto del sottobosco, un laghetto, e anche un piccolo percorso di allenamento con attrezzi di legno per chi si vuole mantenere in forma.

Fa caldo e siamo stanchi, ma del castello di Dinefwr ancora nessuna traccia. Quando finalmente passiamo davanti a un piccolo punto di ristoro sperduto nel nulla Luca mi fa “vai…. vai a diritto, non ti fermare… è un miraggio…!” Alla fine ci arriviamo davvero al castello, o a quello che resta di una piccola fortezza medievale con la sua grossa torre di pietra massiccia e una parte di mura possenti ancora intatte.

Il resto è malmesso ma suggestivo, con bei camminamenti, resti di torri e tappeti d’erba. E una vista privilegiata su tutta la tenuta. Bello, e poi vuoi mettere la soddisfazione di averlo trovato, alla fine.

Continuiamo per un’altra via che passa in mezzo al bosco e raggiungiamo il centro visitatori in circa dieci minuti. Non era poi così lontano, a passare dal sentiero più breve! Ci lanciamo sulla caffetteria, dove ora c’è molta più gente di stamani, e ci gustiamo un Cream Tea con aggiunta di succo d’arancia, perché siamo sudati e stanchi. Facciamo un giro allo “Siop” (gallese per Shop) e poi torniamo alla macchina, pronti a partire per la prossima tappa: Rhossili Bay.

Facciamo anche un salto al Carreg Cennen Castle così en passant, per ammirare dal basso le sue rovine romantiche che svettano sulla cima della collina, quindi continuiamo verso sud per circa un’ora fermandoci solo una volta lungo la via a fotografare un branco di piccoli cavalli selvatici che brucano liberi ai bordi della carreggiata insieme a un gruppetto di pecore.

Sono circa le 5,30 quando arriviamo al paese di Rhossili e al promontorio di Worm’s Head, che pare si chiami così perché la sua forma somiglia al corpo di un drago (wurm è drago in antico inglese, leggiamo nella guida). Il sito è gestito dal NT ma non c’è un vero ingresso, solo un parcheggio a pagamento fino alle 18 dal quale siamo esonerati (e comunque è quasi ora in cui tutti parcheggiano gratis). Seguiamo il piccolo sentiero e poco dopo una baia spettacolare si allunga molto più in basso alla nostra destra, incredibilmente grande e selvaggia, con onde lunghe e spumose che sono amatissime dai surfisti locali. Una spiaggia di sabbia lunga circa 5 chilometri, con alle spalle prati e boschi, e di fronte un pezzo del canale di Bristol.

Proseguiamo lungo il sentiero e ci ritroviamo a percorrere una lunga falesia ricoperta di erba verdissima e fitta, morbida sotto i piedi, che contrasta con l’impressione di solidità suscitata dalla roccia degli strapiombi calcarei. Questa è stata classificata come zona di straordinaria bellezza naturalistica, e direi che si merita appieno questo titolo.

La costa procede sinuosa e morbida, con strapiombi rocciosi che si alternano a scivoli erbosi sui quali, incredibilmente, pascolano una dozzina di pecore. Brucano tranquille muovendosi sul costone ripido come fossero in perfetta pianura, e se la loro cena è impegnativa, il panorama le ricompensa per la fatica.

Passeggiamo lungo il promontorio scattando foto e godendoci la vista incredibile che si ha da qui, e i profumi intensi, i colori contrastanti, i suoni, e l’aria salmastra e fresca. La sensazione è la stessa provata altre volte anche in questo Finis Terrae circondato di mare, spazi aperti e vasta bellezza. Non c’è che acqua oltre a questo lembo di roccia erbosa, non si può andare più oltre. Qui finisce questo bellissimo paese: stiamo camminando sul bordo del Galles. E qui ci fermiamo. Siamo in piedi sul drago.

Torniamo indietro lentamente fino al parcheggio, continuando a spiare le pecore che pascolano sul promontorio erboso senza nessuna difficoltà. Ce n’è anche una nera, ovviamente. Non può mai mancare, una pecora nera.

Rientriamo in hotel giusto in tempo per cenare con ottimi piatti locali, prima di ritirarci in camera goderci il meritato riposo.

È stata lunga e faticosa ma molto soddisfacente, questa giornata che siamo venuti a finire quaggiù, sul bordo del Galles

Martedì 16 agosto 2016: St Catherine Island Fort – Tudor Merchant’s House in Tenby – Dylan Thomas Boathouse and grave in Laugharne

Stamani splende il sole sul Galles occidentale, così dopo una buona colazione salutiamo la signora Tessa della bella casa nel nulla e torniamo verso Tenby, dove non abbiamo ancora finito le nostre esplorazioni.

Il posto è lo stesso ma il paesaggio appare molto diverso oggi: è la magia della marea che va e viene, portandosi dietro i panorami a suo piacimento. 

Quando arriviamo sotto al Castello non sono ancora le 11 e l’acqua si è così ritirata che l’ampiezza della spiaggia è più che raddoppiata rispetto a ieri. Le onde sono lontane in questo momento, e una lunga striscia di rocce e sassi colorati è emersa ai piedi della scogliera dell’isolotto di St Catherine. E ora, finalmente, la scala è accessibile.

Ci inoltriamo lentamente sulla sabbia umida ,e poi sui sassi e sulle rocce coperte di muschio verde, con la buffa sensazione di camminare sul fondo del mare.

Paghiamo il ticket all’omino in fondo alla scala e saliamo su, con una certa emozione nel cuore. La vista è spettacolare da questo lato, sia per la differenza di panorama che per la posizione strategica dell’isola, che regala un controllo totale sul territorio circostante a 360 gradi. In cima alla scala troviamo un piccolo avamposto militare risalente alla seconda guerra mondiale, come ci spiega un ragazzo che fa da guida sul posto, con tanto di casottino di guardia, generatore diesel di corrente e postazione di tiro. Tutto un po’ malandato, ma ancora originale.

Da lì proseguiamo lungo una breve salita fino a raggiungere il vero ingresso del forte, attraverso un bel portone ad arco. La struttura è armoniosa e possente, l’edificio doveva essere efficiente e ben organizzato, come lo sono di solito i forti militari, anche se adesso è in ristrutturazione e solo alcune sue parti sono state riaperte al pubblico da circa un anno.

All’interno l’architettura è piuttosto insolita, e si intuisce facilmente che deve aver subito diversi rimaneggiamenti rispetto alla sua destinazione originale. Ci sono finestre che affacciano su immensi panorami azzurri, caminetti con davanti seggioline foderate di velluto rosso, tavoli scolpiti in legno e strane lampade appese ovunque. Ma purtroppo l’intonaco è molto danneggiato e segnato, e tutte le parti in ferro ancora visibili sono state attaccate dalla ruggine.

In mezzo al pavimento della stanza che si estende alla destra del portone c’è un pozzo dei desideri coperto da una grata, e sul fondo è stata sistemata una piccola campana di metallo. Si lancia giù una monetina e, se si riesce a far suonare la campana, il desiderio si avvera. E intanto si raccolgono spiccioli da donare a una Charity per i bambini del Nepal. Il mare è fatto di gocce. Luca la fa suonare 2 volte.

Una signora ci racconta un po’ la storia di questo forte così elegante e isolato, che nel tempo è stato usato per molti scopi completamente diversi tra loro. La sua costruzione risale alla metà dell’Ottocento e almeno per i primi 30 anni è stato effettivamente usato come bastione difensivo contro un possibile attacco dei francesi, con una guarnigione di circa 100 uomini che manovravano cannoni enormi e rumorosi capaci di lanciare proiettili anche fino a 10 miglia di distanza.

Di fatto, i francesi non arrivarono mai. Alla fine i soldati se ne andarono, delusi, abbandonando il forte che rimase a lungo inutilizzato. In seguito divenne un edificio privato e ospitò varie famiglie, tra cui quella di uno scrittore che scelse di vivere qui per farsi ispirare dal panorama nonostante avesse il terrore delle tempeste invernali, e che alla fine dovette cedere e andarsene vendendo tutto, troppo spaventato dai ruggiti di quest’Oceano minaccioso acquattato tutto intorno al forte, e quella di un riccone stravagante che era solito organizzare feste da ballo in costume per i suoi amici nei grandi saloni militari che erano diventati la sua abitazione. Per una quindicina d’anni fu convertito addirittura in uno zoo, con scimmie, rettili e svariati tipi di altri animali che venivano esposti al publico in aree appositamente predisposte per questo scopo. Alla fine fu abbandonato del tutto e rimase negletto, a parte le poche volte in cui fu utilizzato come set per delle riprese cinematografiche, tra le quali una famosa versione del Conte di Montecristo. Da poco più di un anno è stato riaperto ai visitatori come edificio storico, e noi sappiamo bene che un paio di mesi fa sono state girate qui anche alcune scene per la prossima* S4 di Sherlock, come ci conferma la signora, che pur restando nel vago, parla di cattivi che correvano in giro armati fino ai denti e scontri drammatici, compreso addirittura l’arrivo di un elicottero atterrato sulla spiaggia qui di fronte. Ci sarà da tremare più del solito, questo è certo ormai, e il setting stavolta sarà all’altezza delle aspettative…. (NdA visita effettuata in agosto 2016)

Nel forte c’è anche una specie di carrettino che vende caffè, tè e biscotti, che si possono consumare a un grande tavolo in legno sul quale spiccano degli assurdi candelieri a bracci con tanto di candele, mentre una bancarella con una specie di bric-a-brac di antiquariato attira molti curiosi, che si possono portare a casa lanterne, lampade da carrozza, dischi in vinile a 78 giri o strani aggeggi in ferro un po’ arrugginiti di cui non saprei assolutamente dire l’utilità. Tutto contribuisce a creare un’atmosfera un po’ assurda, e insolita quanto basta da risultare piacevolissima. 

Purtroppo non ci sono altri ambienti da visitare, la gran parte del forte è chiusa al pubblico e soprattutto la grande terrazza panoramica sul tetto non è accessibile al momento, ma speriamo che un giorno lo sia perché la vista da lì deve essere davvero straordinaria. Certi cattivi sanno proprio come scegliersi i posti dove rintanarsi…..

Salutiamo il forte e torniamo verso la via che sale lungomare, fino a una stradina laterale dove si trova un altro posto che vogliamo visitare. È la Tudor Merchant’s House (curata dal NT), una casa originale del ‘500 in cui viveva un mercante di stoffe che svolgeva il suo lavoro nella splendente epoca dei Tudor. Mostriamo la tessera del FAI al signore alla cassa, che è molto contento di accoglierci e ci spiega subito un po’ di cose. Possiamo visitare tutti i locali e osservare gli oggetti, provare tutto e toccare ogni cosa, tranne il letto e un mobile originale dell’epoca.

La biglietteria si trova proprio in quello che era il negozio del mercante, dove sono esposte le pezze di stoffa, le spezie e i mobili colorati e preziosi che erano in uso al tempo in cui lui viveva qui. La cucina ha una tavola imbandita di cibi e spezie tipicamente utilizzati al tempo in una casa di gente alto borghese come questa, e un enorme caminetto contiene tutti gli accessori necessari alla servitù del tempo per cucinare i piatti migliori per i signori di casa. Anche se gli oggetti non sono originali dell’epoca le riproduzioni sono fedelissime, e l’atmosfera che creano, insieme alla signorina vestita in costume che spiega i segreti della cucina del tempo, risulta molto convincente.

Al piano di sopra si trova una bella stanza grande dalle pareti decorate di tessuti colorati, con il tavolo dei giochi, i giocattoli in legno, lo scrittoio per la corrispondenza, il caminetto per scaldarsi, e un bel tavolo da pranzo con le classiche stoviglie di peltro. Lo spazio sembra piacevole e arioso, non doveva essere male, vivere qui.

Ancora più sopra c’è la camera da letto della famiglia, con un grande letto a baldacchino, una culla dipinta che dondola, un caminetto per scaldarsi e un armadio. I figli più grandicelli che non usavano più il lettino probabilmente dormivano su pagliericci vicino al fuoco, o in letti estraibili che uscivano da sotto al letto padronale (abbiamo visto uno di questi letti nella casa natale di Shakespeare a Stratford). Come in alcuni castelli o case, anche qui ci sono abiti d’epoca a disposizione dei visitatori per rendere la visita una vera full immersion, e non me lo faccio dire due volte. Scelgo un abito rosso di lana, lungo e con l’allacciatura a corsetto davanti, e me lo infilo subito. Troppo divertente.

Alla fine del giro torniamo giù all’ingresso e parliamo un po’ col custode prima di salutarlo, e già che ci siamo gli chiediamo dove possiamo trovare una nuova memory card per la macchina fotografica, tanto per essere sicuri di non avere problemi di archivio nei prossimi giorni. ‘Semplice, da Boots!’ Giusto. Se ti serve una memoria elettronica dove la vuoi cercare, se non in farmacia? Andiamo, e la troviamo subito. Excellent. Prendiamo 2 baguette e 2 doughnut da Greggs, che ha una fila di gente fino fuori, e ce le mangiamo su una panchina con vista sulla spiaggia più grande di Tenby, dalla parte del molo, scrutando i movimenti di una marea che è ancora lontana dall’arrivare.

Dopo mangiato lasciamo Tenby, questo paesino di mare davvero carino che non dimenticheremo, e ci spostiamo nel paese di Laugharne, a meno di 20 miglia di distanza, per una visita di quelle speciali. Qui si trova una casa nota come la Boathouse, che è stata per molti anni l’abitazione del poeta Dylan Thomas e della sua famiglia. D’altronde, non potevamo non venire a casa di qualcuno, anche in questo giro.

Dylan Thomas è una specie di istituzione in Galles, un vanto nazionale, e tutto quello che lo riguarda è praticamente mitico. La casa, che si visita pagando un biglietto (no pics inside), è molto piccola ma bella, posata sul bordo dell’acqua, con un salotto rimasto esattamente com’era quando il poeta viveva qui con la sua famiglia. Uno scrittoio, delle poltrone, un tavolino, una coperta per le gambe, un caminetto, molti quadri e foto alle pareti, soprattutto di sua moglie, e libri e oggetti sparsi ovunque. Tutto molto semplice, senza pretese di lusso, ma confortevole e accogliente. Al piano di sopra sono esposte lettere e oggetti originali appartenuti al poeta, e un filmato racconta, tramite varie testimonianze di artisti che lo hanno conosciuto, la storia della sua breve vita (morì nel 1953 a soli 39 anni) e l’importanza di Laugharne nella sua opera. Questi luoghi lo hanno ispirato tantissimo e qui ha sempre mantenuto le sue radici, e ora la gente del posto ci tiene a dimostrare che non lo ha dimenticato.

Ma se la casa è interessante da visitare, la cosa più bella è gratis, e si trova lungo il vialetto che porta all’ingresso della Boathouse. È il Writing Shed, un minuscolo capanno di legno dipinto di verdino con vista proprio sul mare e sulla St John’s Hill, nel quale il poeta si ritirava a scrivere ogni giorno. Non si può entrare, è troppo piccolo e delicato per lasciarlo invadere dai turisti, ma c’è un vetro sulla porta, e se si mettono le mani di lato agli occhi e si va vicino, si può sbirciare dentro. Come spiare in un altro tempo.

Lo spazio è minuscolo, il capanno sarà 2 metri e mezzo per 1 e mezzo, con una finestra in fondo che prende tutta la parete. Sotto la finestra, la scrivania con la sedia, sulla quale sta ancora appesa la giacca dell’autore. Sopra, una confusione di fogli, pagine, libri, penne, giornali, anche una tazza di caffè, forse ancora da finire. Sulla parete di sinistra una minuscola stufa a carbone, in giro mensole cariche di libri e foto di familiari e dipinti famosi, tra i quali una piccola riproduzione di una Monna Lisa senza cornice che l’umidità ha un po’ arricciolato. Un luogo di lavoro e di studio piccolo e raccolto, con davanti il mare, e tutto il resto alle spalle. Bellissimo.

Qui in questo spazio minuscolo e chiuso come un guscio di vongola sono nate alcune delle poesie più belle di Dylan Thomas, quelle dell’ultimo periodo, ispirate dalla bellezza del panorama circostante e dalla forza del legame del poeta con quest’angolo di terra. Mi fa venire in mente il piccolo capanno da scrittura che abbiamo visto nel giardino di Virginia Woolf, in fondo al frutteto, dove lei si ritirava lontano da tutto e da tutti in un mondo tutto suo, per dare vita alle sue creature inquiete e indimenticabili. Un secolo letterario difficile, il novecento.

Prendiamo un tè e ci riposiamo un po’ giù alla mini caffetteria sul bordo dell’acqua, mentre la terra, che quando siamo arrivati era ovunque, ora pare sparita sotto una soffice coltre d’acqua, e la barca blu, che sembrava prigioniera per sempre di ettari di sabbia, ora trotterella allegra verso la riva. Magari non è tanto adatto a farci il bagno, l’Oceano, ma in cambio regala lo spettacolo incredibile della marea.

Dalla Boathouse percorriamo un sentiero nel bosco che ci porta fino alla chiesa di St Martin, che come ogni chiesa da queste parti ha intorno il suo cimitero, per venire a trovare il poeta nella sua ultima casa terrena. La chiesa è chiusa ed è in restauro, ma il cimitero ha un suo piccolo cancello di ferro a parte, e una volta dentro troviamo subito quello che cerchiamo.

La tomba di Dylan Thomas è sulla sinistra, più o meno in mezzo al campo sul prato che degrada leggermente, ed è facilmente individuabile visto che è l’unica croce bianca in mezzo a una folla di tombe di marmo nero. I poeti si distinguono sempre, anche nei cimiteri.

Sulla croce, solo il suo nome e la data, sul lato anteriore, mentre sul retro c’è il nome della moglie Caitlin, morta nel 1994 e sepolta con lui. Non c’è lapide né pietra tombale, nulla. Solo la croce bianca con la scritta nera, e due piante di erica sul piccolo cumulo di terra davanti alla croce. Lascio un penny vicino ad altri che ci sono già, come mi pare di intuire che si usi qui, ma metto anche un sasso, come faccio sempre, perché non si sa mai.

C’è il sole e fa ancora caldo, ma il bosco intorno è scuro e fresco. Sulle tombe intorno una mezza dozzina di corvi battibeccano tra loro svolazzando da una lapide a un’altra. Se solo stesse piovendo, sarebbe un tardo pomeriggio in perfetto stile gotico britannico. Salutiamo e usciamo richiudendo il cancello dietro di noi, contenti di questa visita. Non mi ha delusa questa tomba, speciale e differente dalle altre come il suo inquilino. Una bella emozione per finire questa giornata.

Da Laugharne ci spostiamo in direzione Llandeilo, dove abbiamo la camera per 2 notti. Non è un b&b ma un piccolo Inn lungo la via, molto carino e accogliente. La stanza è bella e ha un letto a baldacchino – deve essere la giornata giusta – e il piccolo pub al pianterreno ci serve un’ottima cena.

 

E domani toccherà ad altre scoperte in questo sud costiero, dove la regola rimane ancora e sempre valida: ‘Rage, rage against the dying of the light..!’