Il mondo di Sally

L'importante non è cosa guardi, ma cosa vedi
 
Il mondo di Sally

Gabbiette

La notte di Capodanno è dedicata in tutto il mondo allo scambio di Auguri, ma soprattutto ai brindisi all’Anno Nuovo. Alla fine restano abbracci nei cuori, baci sparsi, e tappi di sughero sparati via tutti insieme, dopo esser stati liberati dalle loro gabbiette.
Oggetti minuscoli, insignificanti, che però, nelle mani giuste, possono trasformarsi in maniera sorprendente. Il mio Luca ha questa magia nelle sue mani, e quello sguardo speciale capace di vedere ciò che ancora non c’è, e regalarmelo.

Bastano un po’ di abilità, una piccola pinzetta e una grande fantasia, e un filo di metallo può diventare tutto quello che si riesce a immaginare. Un angioletto per esempio, con tanto di ali, aureola e mani giunte in una preghiera sottile.

Una creatura che è diventata un pezzo unico da donare, per una collezione speciale che non smetteremo mai di arricchire.

Il primo lavoro realizzato con questa tecnica così originale non è stato l’angelo però, ma una piccola renna, esile ed elegante, con un muso buffo come solo questi animali possono avere.

Poi è arrivato uno strano omino, delizioso nella sua stramberia, con l’ombrello in una mano e la valigetta da lavoro nell’altra, e un’aria un po’ da divo del musical un po’ da Mary Poppins, che è diventato subito uno dei miei preferiti.

Il cane invece mi ha lasciata stupita per la sua verosimiglianza e per l’atteggiamento così tipico, con la testa affilata e la coda ritta, adorabile.

Un’altra specie di cane è uscito poi da una preziosa gabbietta francese, però più strano, con le gambette corte e le orecchie grandi, non facilmente identificabile.

Almeno finché non è arrivato anche il guerriero armato di lancia.

Allora è diventato evidente che quello strano cane altri non era che fedele il compagno di quel cacciatore primitivo, e che insieme potevano riuscire in qualunque eroica impresa.

Un altro omino, minimale nonostante la sua composizione più complessa, è quello che io chiamo l’Attore. Credo che sia perché la testa di sughero con sul volto un’espressione concentrata, il corpo dalla postura dritta, il gesto ampio delle braccia sollevate mi fanno pensare a un attore che sta recitando il suo brano più drammatico.

Il Samurai invece è facilissimo da riconoscere. Il corpo piegato sulle ginocchia, il braccio aperto a raccogliere l’ultimo brandello di coraggio, la posizione inconfondibile della lama puntata verso il suo stesso cuore, tutto ricorda il gesto d’onore estremo dei guerrieri dell’antica tradizione giapponese. Ha perfino i capelli scuri e lucidi e la fascia rossa legata intorno alla fronte, come un perfetto piccolo Samurai.

Un soggetto molto meno drammatico e decisamente più simpatico è la tartaruga, un classico che è tra i miei preferiti. Guscio scuro e duro, zampe larghe e corte per un’andatura lenta ma costante, e una testa tozza sul collo che spunta fuori dal grosso carapace, semplice e bellissima nella sua naturalezza.

Dato che la creatività non ha limiti, è capitato anche che le mani magiche operassero con le loro pinzette su materiali diversi da sughero e gabbiette metalliche, con risultati altrettanto sorprendenti, alla fine. La fantasia ha spiccato un balzo addirittura fuori dal Sistema Solare, per incontrare mondi e creature aliene quanto meno inquietanti.

Adesso abbiamo la prova che gli alieni sono davvero verdi e luccicanti, hanno grandi orecchie paraboliche, e trascorrono buona parte del tempo a gestire i loro progetti di invasione della Terra davanti a una consolle iper-tecnologica multifunzionale. Non sono poi così alti come si credeva, ma non disdegnano una birretta ogni tanto…

Come per quasi tutte le cose, il motivo per cui si fanno diventa un motore potente nella spinta alla realizzazione migliore possibile di ciò che si è cominciato, e questo è vero anche in una cosa banale come piegare un filo di ferro. Così, uno dei pezzi più belli usciti dalle mani di Luca è stato fatto per una persona speciale, che aveva una grande passione per un cantante del quale era fan. Il desiderio di fare un oggetto unico solo per lei, per veder brillare i suoi occhi di gioia nel momento in cui lo avrebbe ricevuto, ha mosso le pinzette in maniera più magica del solito, fino a ottenere un risultato finale incredibilmente straordinario. Almeno per me, e certo per chi lo ha ricevuto in dono.

Comunque, che sia una figura complessa o la più semplice e stilizzata delle forme, la magia di questa tecnica così originale non finirà mai di stupirmi. E neppure la scoperta che si può trovare la poesia anche nelle più piccole cose.

Venerdì 24 giugno 2011 : Castello di Monolithos – Spiaggia di Vlyha – Ristorante Kalypso

La solita luce instancabile invade cielo e terra anche in questa nostra ultima mattina irradiando energia ovunque, il suo potere è così intenso che non so come riusciremo a trovare la forza di ripartire, domani.

La meta di oggi è sull’altro lato dell’isola, sul versante del mare più agitato, che raggiungeremo viaggiando lungo il lato sud della linea costiera. Oltrepassiamo alcune delle spiagge che già abbiamo visto nei giorni scorsi, arriviamo vicino a Prassonissi e continuiamo risalendo lungo la costa e tagliando poi per una strada interna, fino a raggiungere la via che si affaccia di nuovo al mare. Da lì, dopo un viaggio di poco più di un’ora, siamo in grado di godere di una magnifica vista sulla nostra destinazione odierna, la rocca del Castello di Monolithos.

Si tratta di un castello veneziano risalente alla seconda metà del 1400, piccolo ma notevolmente fortificato, difeso dall’attacco dei pirati da possenti mura in pietra ma soprattutto dalla sua incredibile posizione. E’ infatti costruito in cima a un promontorio roccioso alto più di cento metri a strapiombo sul mare, al quale si ha accesso solo tramite uno stretto sentiero in pietra che si trasforma presto in una scalinata vera e propria, che si inerpica fino su in cima alla rocca. Una visione inaspettata e di grandissimo effetto che lascia incantati già prima di raggiungerne la vetta.

Lasciamo l’auto al parcheggio e cominciamo la scalata, che alla fine si dimostra meno difficile di quanto temessimo. La fatica è alleviata dal vento fresco che soffia dal mare verso i boschi tutt’intorno, ed è certamente dimenticata nel momento in cui arriviamo sulla cima del promontorio, davanti ad un panorama assolutamente spettacolare. Il castello è una finestra spalancata sull’azzurro infinto del mare e del cielo, fusi insieme in una luce splendente così intensa da far luccicare tutto quello che tocca: acqua, pietra, piante, persino l’aria sembra lucida davanti a noi, fino alla linea illusoria dell’orizzonte.

Resta ben poco del castello vero e proprio, solo le mura perimetrali in parte diroccate e invase dalla vegetazione, e piccole finestre di pietra aperte sull’infinito come occhi spalancati sull’incanto della natura circostante.

Poco sotto al castello, sul lato destro, si trovano i resti di una costruzione bassa che poteva essere un magazzino di merci, con la base rettangolare stretta e lunga e il tetto dalla volta a botte. E’ piuttosto danneggiato, ma è sistemato in un punto strategico del promontorio e regala una vista sulla costa antistante incredibilmente suggestiva.

Nella zona centrale del castello si trova ancora una piccolissima chiesa, una classica chiesetta intonacata di bianco col portoncino di metallo e l’interno stretto e lungo decorato da icone di santi. Non ci sorprende trovare file di candele accese davanti all’altare, perché la devozione raggiunge qualsiasi luogo qui, anche i più remoti e inaccessibili.

Restiamo un bel po’ a passeggiare tra le rovine del castello, lungo le mura di pietra che portano i segni di secoli di sole e vento, tra le piante profumate di salmastro e i muretti che si affacciano sullo spettacolo azzurro del mare immerso nella luce. E’ un piccolo angolo di Rodi molto speciale, questo, che ricorderemo con emozione.

Più tardi ripartiamo, e per tornare verso Lindos prendiamo una strada interna che attraversa paesini di una manciata di case quando, ai bordi di un piccolo centro abitato, ci appare una scena che sembra uscire direttamente da un acquarello: un un’enorme pianta di campanelle in piena fioritura ricopre completamente la rete di recinzione di un cortile e da lì deborda verso il terreno vicino invadendo ogni spazio disponibile, fino a inglobare anche un vecchio camioncino abbandonato parcheggiato lì da chissà quanto tempo. Ovunque è verde e viola intenso, fiori e tralci avviluppano ogni cosa come braccia gioiose e infinite, in uno spazio in cui la natura ha preso il sopravvento e si è riappropriata dei luoghi che erano suoi da sempre. Un’immagine inattesa e allegra che ci regala un’emozione a sorpresa in questo angolo sperduto dell’isola della luce.

Una volta raggiunto il lato opposto dell’isola torniamo verso Lindos, e decidiamo di scegliere nuovamente la meravigliosa spiaggia di Vlyha, che tanto ci aveva incantati all’arrivo, per la nostra ultima giornata di bagni. Tutto è ancora fantastico come il primo giorno in cui siamo stati qui, la spiaggia di piccola ghiaia colorata, gli ombrelloni di paglia, i lettini con i materassini a righe, ma soprattutto è uguale l’azzurro infinito che ci circonda, la distesa blu dell’acqua che confonde le sue mille sfumature con quelle del cielo, l’aria limpida che scintilla di luce.

Ci sistemiamo a un ombrellone proprio davanti al bagnasciuga, il sole è al picco e la ghiaia scotta, e passa pochissimo tempo prima che ci regaliamo il primo bagno della giornata in quest’acqua trasparente come cristallo. E così passiamo il resto della giornata, tra bagni lunghissimi e sole, letture al fresco dell’ombra e chiacchiere, mentre il paesaggio intorno a noi risplende nell’intensità della luce potente del Mediterraneo.

Solo nel pomeriggio inoltrato la fame ci convince a lasciare per un po’ la nostra postazione per raggiungere la taverna alle spalle delle file di ombrelloni per cercare qualcosa da sgranocchiare. Ci sediamo a un tavolino con le sedie sistemate direttamente sulla ghiaietta, all’ombra di piante fiorite e ombrelloni di paglia, con una vista perfetta sullo spettacolo azzurro del mare disteso davanti a noi. Potrei mangiare in un posto così ogni giorno della mia vita.

Le Greek salad che scegliamo sono saporite e gustose, la birra è fresca, l’aria tiepida accarezza la nostra pelle accaldata dal sole e tesa dal salmastro che ci è rimasto addosso. Tutto è delizioso in una maniera piacevolissima.

Dopo mangiato torniamo ai nostri lettini a riposare all’ombra per sfuggire al calore intenso del sole, e restiamo in spiaggia tra bagni e relax fino al tardo pomeriggio, cercando di far durare quest’ultima preziosa giornata il più a lungo possibile. E’ sera quando ci dobbiamo decidere a raccogliere le nostre cose per tornare verso Lindos, non c’è quasi più nessuno sulla spiaggia, perfino la luce si è dovuta arrendere e ha smorzato la sua intensità lasciando spazio a una luminosità più delicata e dolce che pare accarezzare ogni cosa. Lasciare la spiaggia è dura, ma più di tutto è difficile lasciare questo mare e la sua limpidezza perfetta, la sua calma, il suo abbraccio fresco e vellutato, il suo azzurro infinito che tutto accoglie e contiene. Lo salutiamo ma questo non è certo un addio, la Grecia non ci ha delusi neppure questa volta, e torneremo a visitare un’altra delle sue perle appena ci sarà possibile.

Rientriamo a Lindos e ci prepariamo per uscire a cena, il paese con tutta la sua bellezza pare lì ad aspettarci nella luce del tramonto come ogni sera.

Ci laviamo e sistemiamo e usciamo di nuovo, e dopo una passeggiata in centro a scegliere qualche ultimo regalo da portare a casa ci fermiamo in un delizioso ristorante del centro che già ci aveva incuriositi nelle sere passate, il Kalypso. Costruito in un antico palazzo splendidamente decorato della Lindos dei Capitani, il locale si articola su due piani, come la maggior parte dei locali del centro, ma ha mura in pietra lavorata, un meraviglioso pavimento in pietre bianche e nere con disegni a tema marinaro e un bell’arredamento in legno che comprende antichi oggetti tipici della tradizione locale. La cena si rivela ottima, con filetti di branzino e verdure serviti in piatti a forma di pesce dipinti a mano, polpettine calde e involtini di riso in foglie di vite molto gustosi, tutto accompagnato da birra fresca. Un buon modo per festeggiare la nostra ultima cena sull’isola.

E’ tardi quando lasciamo il locale e torniamo lentamente verso casa, percorrendo ancora una volta le stradine caratteristiche del centro di questo paesino incantevole, certamente il più bello e ricco di fascino di tutta l’isola. Dobbiamo sistemare le nostre cose perché domattina partiremo presto per l’aeroporto, dove dovremo lasciare la nostra fedele Jimny e prepararci al rientro a casa. Sapevo che Rodi mi sarebbe piaciuta, ma non mi aspettavo che mi avrebbe colpito così profondamente con la sua bellezza libera e antica. Sarà dura lasciare questo paradiso per tornare alla vita di tutti i giorni, lontani dal mare e dal cielo infinito di qui, e soprattutto sarà durissima rinunciare a questa luce magica che ha il potere di donare energia vitale a ogni cosa che tocca. Speriamo di averne fatto una scorta sufficiente, che ci possa bastare fino alla prossima volta in cui potremo avere il privilegio di ritornare in questi luoghi preziosi. Nel frattempo, sarà nostalgia.

Giovedì 23 giugno 2011: Petaloudes (Valle delle Farfalle) – Theologos – San Nicola – Moni Tsambika alta

L’azzurro intenso del cielo è illuminato da un sole potente fin dal primo mattino, sembra davvero che questa luce non possa mai cambiare. Dopo colazione facciamo una piccola sosta in una farmacia di Archangelos ad acquistare della crema doposole (che qui va via come il pane…), quindi proseguiamo per la meta di oggi, Petaloudes, la famosa Valle delle Farfalle che chiunque venga qua non può mancare di visitare. Si trova a una venticinquina di chilometri a sud di Rodi città, in una zona interna un po’ montuosa, ma la strada non è troppo malandata anche se ci sono parecchie curve nel tratto compreso tra la via principale verso nord e il bivio a sinistra che indica la Valle. Ci arriviamo abbastanza presto, ma nonostante l’orario ci sono già molte auto e qualche pullman di turisti pronti ad affrontare il bosco pur di vedere le più famose farfalle di Rodi. Lasciamo l’auto al parcheggio e facciamo il biglietto a un piccolo baracchino prima dell’entrata, e lì ci rendiamo conto che la maggior parte dei visitatori in attesa di entrare parla italiano.

Il luogo è molto bello, l’aria è profumata nell’ombra degli alberi che proteggono dal calore del sole, e si sente fin dall’ingresso un lieve rumore di acqua che scorre che contribuisce a regalare una piacevole sensazione di fresco. In effetti l’acqua è un elemento fondamentale qui, e accompagna i visitatori lungo tutto il percorso costruito appositamente per permettere ai turisti di ammirare questo luogo senza creare danno alle creature che lo abitano, con sentieri, scale, ponticelli di legno, e soprattutto barriere laterali che impediscono di oltrepassare il limite oltre il quale il bosco è riservato ai suoi abitanti naturali.

Le farfalle di Petaloudes sono in realtà piccole falene, tutte della stessa specie e di colore marrone e beige con il sotto delle ali rosse, che durante i mesi della primavera e dell’estate invadono il bosco a migliaia attratte dal profumo della resina di questi alberi, e qui, grazie alle condizioni favorevoli che trovano, lasciano le loro uova per dare vita alle future generazioni.

Un miracolo naturale che si ripete ogni anno, ma che comunque si regge su di un equilibrio delicatissimo che può essere facilmente minacciato dall’invasione delle migliaia e migliaia di visitatori che passano di qui ogni anno. Per questo ci sono precise regole di comportamento ben segnalate all’ingresso del bosco, che tutti sono tenuti ad osservare pena una forte ammenda. Tra queste, camminare solo e soltanto lungo i sentieri segnalati, evitare urla e rumori forti che possono spaventare le farfalle, non toccare né raccogliere nulla, che siano piante, fiori o sassi, non gettare immondizia in giro e non causare con il proprio comportamento danno o problemi alle creature che abitano il bosco. Insomma, niente di particolare in fondo, basta comportarsi con un minimo di educazione e ce la si può cavare. Anche se per molti pare meno facile di quanto sembri. Tra i numerosi turisti che entrano con noi, molti dei quali italiani, ben pochi si comportano rispettosamente, purtroppo. La maggior parte schiamazza, grida, si lancia richiami ad alta voce indifferente alla presenza degli altri visitatori, e soprattutto infastidisce le farfalle non appena ne vede qualcuna posata sui tronchi più vicini al sentiero. Vediamo un signore che addirittura scavalca la staccionata e raccoglie un ramo col quale va a disturbare le farfalle posate su una roccia perché sua figlia possa scattare una foto mentre volano via. Per fortuna non c’è una vera folla a quest’ora, così rallentiamo con la scusa di fare qualche foto e lasciamo che il gruppo iniziale si sgrani un po’, godendoci il l luogo mentre gli altri vanno avanti e qualcuno si lamenta che non ci sono poi mica tutte queste farfalle. Ma non è vero, le farfalle ci sono eccome, sono moltissime e piccole, posate sulle rocce, i tronchi, le foglie, leggerissime e immobili, basta soffermarsi a guardare con attenzione e se ne scoprono dappertutto.

Mi fermo a fare moltissime foto, l’ambiente è fresco e piacevole, il verde splende tutto intorno, le rocce si alzano in pareti ripide in parte coperte di vegetazione, l’acqua corre dappertutto formando piccoli laghi, e a volte ruscelli con cascatelle gorgoglianti che luccicano nella luce del sole che filtra tra i rami. Il fresco è piacevole e profumato di salmastro.

Il percorso, per buona parte in salita, è lungo ma molto ben organizzato. Seguiamo senza nessuna difficoltà – e finalmente senza vicini fastidiosi – ampi sentieri lastricati di pietra, saliamo scale scavate nella roccia, attraversiamo ponticelli di legno scalando piano piano la montagna ricoperta dal fitto bosco che ci circonda. Finalmente tutto è tranquillo e possiamo osservarci intorno con calma, fare tutte le foto che vogliamo, o anche solo affacciarci alle staccionate a guardare le pozze d’acqua lucida sulle quali d’un tratto passano piccole nuvole rosse e tremolanti.

Naturalmente, un ambiente così integro e ricco non poteva essere abitato solo dalle piccole falene, e infatti scopriamo molte altre creature, insetti, grilli, uccelli, lucertole che fuggono rapidissime sotto le rocce appena ci avviciniamo, e soprattutto enormi granchi blu che si riposano immobili ai bordi dei ruscelli, seminascosti tra le pietre in attesa del momento di catturare qualche preda. Sono incredibilmente belli e grandi, con una sfumatura di colore del guscio che non poteva che volgere allo stesso azzurro del cielo e del mare di questa isola luminosa.

Raggiungiamo la fine del sentiero in cima al bosco, dove c’è un piccolo monastero che però evitiamo di visitare perché troppo affollato, e torniamo giù lungo la stessa via diretti di nuovo all’uscita, ripercorrendo al contrario la strada fatta all’andata e godendoci la valle delle farfalle da nuovi punti di vista. Camminiamo da diverse ore ma non siamo troppo stanchi quando raggiungiamo l’uscita, ed è con un certo dispiacere che lasciamo la pace profumata del bosco e i suoi bellissimi abitanti.

In realtà la valle delle farfalle prosegue anche verso sud, e dalla piazzetta esterna sulla quale siamo arrivati, attraversando in brevissimo tunnel – del quale si vede l’uscita a pochi metri di distanza, stavolta! – con lo stesso biglietto di stamattina possiamo provare a proseguire per la discesa, che secondo la mappa porta al Museo delle Farfalle situato in fondo al bosco.

Discendiamo il sentiero per qualche decina di metri, tanto per vedere com’è anche da quella parte, ma di fatto somiglia molto al bosco già visitato, solo con meno acqua e meno spazi ampi, così dopo un po’ decidiamo di lasciar perdere e tornare su. E’ tardi e abbiamo fame, e vogliamo finire la giornata vedendo anche qualcos’altro prima di rientrare a Lindos. Risaliamo fino al secondo ingresso e ci risposiamo un momento vicino al laghetto verde formato dall’acqua che scende dal bosco prima di avviarci, fa caldo ma qui si sta bene, circondati dalle piante e dalle Farfalle.

Visto che da mangiare qui troviamo solo panini non troppo invitanti decidiamo di riprendere la macchina e proseguire verso Theologos, un minuscolo paesino non lontano che è descritto nella guida come molto caratteristico e dove speriamo di trovare almeno una Taverna. Lo raggiungiamo abbastanza facilmente, la strada è solo una e le indicazioni sono chiare, ma non ci aspettavamo che fosse un posto così minuscolo. Un centro abitato tutto intonacato di bianco costruito intorno a una grossa chiesa anche lei candida, eretta nel tipico stile dell’isola, con il suo bel campanile a fianco, la piazzetta, i fiori, e basta, trenta metri più avanti e sei già fuori dal paese, non c’è altro che questa piazza, la chiesa, un bar (chiuso), e poche case che girano intorno a questo nucleo principale. Niente locali per sostare o mangiare. Però vediamo, nel giardino di una casa ai margini del centro, una delle più straordinarie piante di cactus che abbiamo mai visto, alta almeno dieci metri e robusta come un albero, bellissima. Chissà quanto tempo ha impiegato il sole potente di questa terra a far crescere una creatura così spettacolare. Un’altra delle magie di questo clima fatto di energia pura.

Riprendiamo la via che va verso l’altro lato dell’isola e dopo un po’ siamo in direzione Epta Piges, quando lungo la strada vediamo una taverna tipica con i tavolini all’aperto, proprio a fianco di una scalinata che va verso una chiesa. E’ già primo pomeriggio ma è tutto aperto, così ci fermiamo finalmente a mangiare Gyros e patatine, bere birra e riposarci un po’ dal caldo e dalla fatica della lunga camminata a Petaloudes.

Dopo la sosta saliamo a visitare la chiesa, immersa in un giardino e costruita in stile romanico bizantino, con un loggiato esterno sorretto da colonne di marmo rosso e un bel campanile dalla struttura tradizionale.

La chiesa è in condizioni perfette, sia al’esterno che all’interno, c’è addirittura una signora che ha appena finito di lavare il pavimento quando noi arriviamo al portale principale e che ci fa capire che è meglio aspettare un momento prima di entrare. La chiesa è dedicata a San Nicola, e quando finalmente abbiamo il permesso di entrare scopriamo un interno incredibilmente decorato e ricco. Volte e cupola sono completamente affrescati da immagini di santi e angeli raffigurati sullo sfondo di un cielo azzurro cupo, l’altare è in legno intagliato e arricchito da numerosi dipinti con sfondi dorati, la navata è illuminata da finestre ad arco i cui vetri colorati lasciano entrare fasci di luce morbida e smorzata, mentre all’icona principale di San Nicola è riservato il posto d’onore accanto all’altare e una cornice d’oro e argento particolarmente sfarzosa. Eppure, nonostante la grande ricchezza degli interni, l’atmosfera che si respira è semplice e calma, direi nitida, e il silenzio che avvolge tutto non è vuoto ma pace.

All’uscita ritroviamo il caldo solo appena attenuato di metà pomeriggio, e la stessa luce intensa che invece ha ancora molte ore davanti a sé prima di rassegnarsi a chinare la testa. Scendiamo la scalinata che riporta verso la taverna e il parcheggio e lasciamo la chiesa nel suo giardino, immersa tra fiori alberi e luce. E’ stata una scoperta inattesa e molto piacevole, e un’ottima sosta.

Proseguiamo in auto verso Epta Piges, lo superiamo e torniamo infine sulla via principale per Lindos, lungo la quale, sulla sinistra, svoltiamo poco dopo al bivio per Moni Tsambika alta. Abbiamo intenzione di arrivare in cima alla rupe sulla quale è stato costruito il piccolo monastero nel punto in cui fu trovata l’icona d’argento originale della Madonna Tsambika che abbiamo visto ieri, e visto che l’ora più calda è passata dovrebbe essere un buon momento per provarci. La luce è ancora intensa, il mare luccica sotto il sole ma il momento della folla è passato.

La strada che porta su verso il monastero è molto ripida e piena di curve, il fondo non è asfalto ma semplice cemento, però sia la jeep che il pilota si dimostrano adeguati al compito, e in breve siamo nel punto più alto raggiungibile con i mezzi. Da qui in poi, si deve solo camminare. Anzi, salire, perché c’è davvero una scalinata di oltre 300 gradini da superare come avevamo letto nella LP, e se vogliamo arrivare in cima ad ammirare lo spettacolo del panorama dall’alto non ci resta che mettere un piede davanti all’altro. Alla base della lunga scalinata, sulla quale il numero dei gradini è segnato con vernice bianca ogni 5 passi, ci sono numerose buste di plastica piene di sabbia a disposizione dei pellegrini. Chi vuole, può decidere di prendere una o più buste e portarle su, per aggiungere fatica e penitenza al sacrificio della scalata in cambio della grazia da chiedere alla Madonna Tsambika. Meglio lasciar perdere, noi andiamo su solo per il panorama.

Saliamo senza fretta i gradini larghi e ben tenuti, a quest’ora buona parte della scalinata è all’ombra degli alberi del bosco circostante e l’aria è fresca. Anzi, più saliamo più il vento si fa sentire, liberandoci dalla fatica e dal caldo.

La vista si fa sempre più incredibile a mano a mano che saliamo, la linea della costa si allontana e si distende sotto di noi mentre l’orizzonte si allarga sempre più, e le folate di vento arrivano improvvise e forti quando ci avviciniamo al bordo del costone roccioso per guardare giù.

Quando poso finalmente i piedi sul gradino numero 300 non mi sembra vero, la scalata è stata dura ma non vedo l’ora di affacciarmi da quassù a vedere lo spettacolo del Mediterraneo disteso sotto di noi.

Il vecchio monastero si raggiunge attraverso un piccolo cancello in ferro lavorato che da accesso a un cortiletto interno, piccolo ma con un pavimento decorato in pietre bianche e nere che disegnano delfini, onde e fiori assolutamente meraviglioso. Ci sono panchine, un albero, una piccola campana e molti fiori, non mi aspettavo tanta cura dei dettagli in cima a questo spuntone di roccia.

L’accesso a ciò che resta dell’antica struttura sacra è seminascosto da pareti bianche e semplici, quasi non si capisce che si sta entrando in un santuario. Un paio di camere semplici, di dimensioni ridotte quasi a piccole grotte, contengono affreschi e dipinti raffiguranti la Madonna e il Bambino, non molto in buono stato purtroppo, mentre in una zona più ampia sulla destra dell’ingresso campeggia una grande immagine ad affresco della Vergine Tsambika, davanti alla quale sono stati lasciati tantissimi ex-voto d’argento, quadri, icone e riproduzioni di bambinelli di cera portati in offerta per rendere testimonianza e omaggio per la Grazie ricevute.

Ma oltre ai miracoli della Madonna Tsambika, lo spettacolo che colpisce davvero chi arriva fin qui è visibile all’esterno più che all’interno. Siamo proprio in cima alla rupe, da qui, spostandosi intorno al cortile, si può godere di una vista panoramica a 360° su tutto il territorio circostante, una visione così incredibile da lasciare senza fiato. Basta guardare giù per riconoscere le spiagge, i paesi, e la linea azzurra della cornice della costa che si distende a est e a ovest a perdita d’occhio.

Se dal lato della scalinata si vedono le montagne e i boschi dell’interno, dietro al monastero ci si affaccia direttamente sul mare aperto, e tutto di colpo è di un azzurro accecante. Il cielo e il mare diventano una cosa sola, indistinguibili, e l’orizzonte si fa talmente vasto da arrotondarsi davanti a noi, piegato da una forza invisibile che rivela solo a chi è riuscito a salire così in alto la magica linea della curva della Terra.

Tutto è così immenso e luminoso in quell’aria azzurra che soffia forte arruffando capelli ed emozioni che vorresti restare lì a guardare l’orizzonte per sempre, mentre l’idea di dover tornare giù scompare semplicemente dall’elenco delle azioni possibili. Invece, dopo un po’ dobbiamo per forza riprenderla in considerazione, e rassegnarci a ridiscendere mestamente la lunghissima scalinata, lungo la quale molte coppie hanno lasciato incisa tra i numeri dei gradini la traccia del loro amore.

Ci fermiamo a prendere qualche cartolina a un supermarket prima di rientrare, abbiamo deciso di cenare in casa per riposarci un po’ dopo tutta la fatica di oggi e per finire le provviste rimaste, e ne approfitteremo per scriverle in tranquillità. Siamo troppo stanchi per andare ancora in giro, abbiamo bisogno di stare un po’ distesi e di programmare quello che faremo domani, nel nostro ultimo giorno su quest’isola della luce.