Notte calma al nostro YHA, dove ci possiamo alzare un po’ più tardi del solito. Facciamo colazione qui con un piccolo extra sulla stanza, e ci facciamo anche stampare le carte di imbarco dalla reception dato che, purtroppo, tra poco ci serviranno…
Usciamo in auto diretti al quartiere del National Museum of Wales e della Town Hall, a circa 2,5 km di distanza dall’hotel, in una bella zona ordinata e libera che fa venire in mente, in piccolo, quella dei musei di Washington. Parcheggiamo in una strada vicina ed entriamo in un bell’edificio neoclassico con tanto di scala e colonnato, sormontato da una cupola centrale. Il museo è doppio in realtà, cioè comprende sia la sezione di storia dell’arte che quella di scienze naturali, divise su due livelli. In compenso, l’ingresso è gratis in entrambi i musei, come da buona tradizione britannica. God save the Queen.
La hall è grande e bella, e riconosco immediatamente la doppia scala dove è stato girato l’episodio di Sherlock ‘The Blind Banker’, con al centro la statua in bronzo del tamburino. Wow. Sopra è indicato persino il piano delle porcellane e delle cineserie: manca solo Soo Lin! Una bella emozione per me.
Cominciamo dalla sezione d’arte, e facciamo tutto il giro seguendo la piantina che abbiamo preso all’ingresso. Le stanze sono grandi e ben organizzate, la luce è buona quasi dappertutto e le opere sono divise per periodo storico, con solo alcune sezioni dedicate esclusivamente ad artisti gallesi. Ci sono buoni pezzi per essere un museo non grandissimo, niente di prima del 1500 ma insomma, diversi lavori italiani e francesi di fine Rinascimento, un po’ di inglesi e poi alcuni fiamminghi, tra i quali una piccola deposizione in grisaglia piena di pathos, un paio di Rubens e un magnifico ritratto di nobildonna di Rembrandt che è spettacolare, uno dei pezzi migliori di tutto il museo, e che naturalmente è l’unica opera che non si può fotografare.
Nelle sale vittoriane troviamo alcune marine di Turner, sempre potenti e magiche come solo lui sa essere, e uno splendido dipinto del Pre-Raffaellita Millais, intriso della sua tipica raffinatezza. E’ una versione drammaticamente elegante della parabola biblica di Iefte, dipinta un po’ à la David, in cui si vede Iefte, che aveva promesso a Dio di sacrificargli la prima persona che avesse visto al suo ritorno se Lui gli avesse garantito la salvezza in guerra, piegato dal dolore di fronte al proprio destino sfortunato, in quanto per mantenere la sua promessa a Dio dovrà uccidere proprio la sua unica figlia, che lo aveva accolto sulla porta di casa. L’azione è bloccata nel momento paralizzante del dolore, quasi una scena teatrale in cui ogni attore è fissato in un istante al quale non riesce a sfuggire, ma il dramma è come ammorbidito dalla bellezza dei volti delle donne e dei loro sguardi persi, dei tessuti e dei colori delle loro vesti, dei materiali ricchi e variegati che avvolgono tutto: sete, pellicce, pizzi, cuoio, gioielli, con un effetto finale di grazia e purezza che riporta davvero indietro, ben oltre le esagerazioni del manierismo.
La tipica atmosfera magica dei Pre-Rafaelliti ce la regala anche una bellissima opera di Burne-Jones dominata da un cerchio di tre misteriose figure dorate su fondo neutro che sembrano fluttuare nell’aria in una danza macbethiana intorno a un giovane bellissimo chino verso di loro. La grande scritta in latino nella parte alta del quadro narra del mito di Perseo, che riesce a rubare l’unico occhio delle Graie per andare alla ricerca di Medusa e ucciderla, anche grazie allo scudo donatogli da Atena. Parole e figure sono quasi in rilievo, come fossero sul punto di emergere magicamente dalla tela per mettere in scena la loro danza misteriosa davanti ai nostri occhi.
Ci sono anche gli impressionisti naturalmente, immancabili, con la poesia rurale di Millet, la matematica bellezza dei paesaggi di Cezanne, e un Manet proprio accanto a un Monet. Come dice Luca, si sono riuniti…
In una sala troviamo anche due sculture di Degas, piccole e magnifiche: una classica ballerinetta e una bagnante che si toglie qualcosa dal piede, così armoniosa e perfetta da far venire voglia di infilarsela in borsa e portarsela via.
Particolarmente luminosi e rari, due pezzi di Morandi: un piccolo vaso di fiori, e una natura morta con bottiglie e barattoli, muti e sorprendenti, non mi aspettavo davvero di trovarli qui.
Uno dei più recenti tra i miei preferiti è Bacon, presente qui con il suo Tentativo di Autoritratto.
Sullo stesso piano dei dipinti si trova una bellissima esposizione di porcellane inglesi, tedesche e cinesi di vari secoli, con pezzi storici e stili a confronto, una chicca per gli appassionati. C’è persino una copia del Vaso Portland, che abbiamo visto alla fabbrica di Wedgwood, e una teca di piccole sculture in giada magnifiche.
Una menzione a parte merita la mostra dedicata alle storie illustrate (no pictures), con una serie di bellissime tavole originali dei migliori artisti del settore. Su tutti Quentin Blake con i suoi disegni delle famose storie per ragazzi di Roald Dahl, che era nato qui a Cardiff. Davvero una piccola mostra splendida, divertente e commovente, che ti fa entrare in un mondo magico fatto di linee e colori. Un paradiso, a essere un illustratore.
Al piano di sotto visitiamo anche il Museo di Storia Naturale, molto grande e ben fatto, con le rocce, i fossili, le conchiglie, lo sviluppo della terra, le piante, gli insetti, i mammiferi, gli uccelli, i pesci, le galassie, i vulcani, le derive dei continenti, i dinosauri… c’è tutto quello che serve per far passare una giornata divertente e interessante a bambini di ogni età, a giudicare dall’entusiasmo di quelli che vediamo qui.
Alcune teche sono più tecnologiche di altre, alcuni animali sono un po’ più spelacchiati di altri, ma questa è la magia dei musei di storia naturale, ci entri e ci credi a occhi aperti, e non ti serve altro.
Dopo il giro andiamo alla caffetteria e prendiamo una zuppa e dei biscotti, e ci godiamo un po’ di meritato riposo dopo tanti passi tra arte e scienza.
Quando usciamo superiamo la Town Hall, dove pare si stia preparando una cerimonia di nozze indiane, a giudicare dagli abiti in stile Bollywood degli invitati, e proseguiamo verso il Bute Park, il principale parco cittadino. Siamo diretti alla Cattedrale di Llandaff e lo attraversiamo lentamente con l’idea di fare una passeggiata, ma non ci eravamo resi conto che fosse così lontana. Il problema non è solo la distanza ma il fatto che piove di nuovo, leggero e fitto, e non pare abbia intenzione di smettere a breve.
Alla fine ci arriviamo, un po’ bagnati ma contenti di trovarla aperta perché c’è la messa in corso. Ci sediamo e assistiamo alla parte finale della funzione, che è bella perché comprende un coro che canta e la musica di un organo enorme che si espande fino su al grande soffitto di legno. La chiesa è molto bella, risale al XII secolo ma ha subito gravissimi danneggiamenti nei secoli, tanto che a un certo punto è stata usata anche come birreria e come stalla. È stata restaurata seriamente solo a partire dal periodo vittoriano e infatti, come altre cattedrali, è fiancheggiata da due torri differenti, una quadrata normanna con le piccole guglie agli angoli e una più alta e sottile con il tetto a punta.
L’interno è completamente diverso da come ce lo aspettavamo, e molto affascinante. Al centro del transetto spicca una enorme Maestà in legno di Jacob Epstein, aggiunta nel XX secolo e posata su un doppio arco in cemento, dominata da una gigantesca scultura di Gesù sospesa proprio sopra la navata, con un effetto di contrasto molto elegante tra archi medievali in pietra e struttura moderna in legno.
A prima vista mi fa venire in mente gli Scissor Arches della Cattedrale di Wells, a cui forse la struttura è ispirata, e anche se questa non è impressionante come quella, è comunque un esempio di perfetto amalgama tra antico e nuovo. Il coro e l’organo sono moderni, ma ci sono altre cappelle preziose, soprattutto quella dietro il coro, dove si trova l’altare principale, che ha finestre con decorazioni di Burne-Jones. Facciamo un giro veloce dopo la messa perché stanno già chiudendo, ma sono contenta di questa visita.
All’uscita piove ancora, e non smette per tutto il lungo percorso all’indietro fino alla macchina. Non piove forte ma è continuo, alquanto fastidioso. Anche se non sembra così per i locali, che camminano, fanno jogging o vanno in bici come se niente fosse. La forza dell’abitudine… Alla fine ritroviamo la macchina e torniamo verso la Cardiff Bay, dove facciamo altri giri. Scuriosiamo nel Millennium Centre, molto bello anche dentro, anche se c’è pochissima gente a quest’ora. Qui si trova l’ufficio turistico di Cardiff, ma soprattutto il Teatro Nazionale del Galles e le sedi delle compagnie nazionali di opera, balletto, musica tradizionale e molte altre associazioni culturali gallesi. E qui ci sono i botteghini per acquistare i biglietti per tutti gli spettacoli in programma.
Da qui andiamo nel vicino locale Bill’s a cena, un piccolo bistrot molto carino che offre piatti speciali e cibi organici locali, compresa una birra artigianale molto buona.
Dopo un caffè americano andiamo a fare un giro alla baia, ma in auto, perché vogliamo arrivare dalla parte opposta di quella già vista. Passiamo dalla chiesa norvegese, dalla piccola piazza con la statua che ricorda la spedizione di Scott al Polo partita proprio da qui e finita tragicamente, e arriviamo fino in fondo, dove sorge la strana struttura ultramoderna in cui si può fare la Dr Who Experience.
Noi non la faremo, non siamo veri fan di questa famosissima serie, ma ero curiosa di vederla da vicino perché sono comunque fan di Moffatt, e poi abbiamo un Dalek in hotel (c’era anche stamani a colazione con indosso lo stesso costume, secondo Luca non se lo toglie neppure per dormire…), anche se di fatto si può vedere solo la porta d’ingresso.
Ma c’è un piccolo Tardis lì fuori, posato su uno spuntoncino di verde che finisce nell’acqua, e gli faccio volentieri una foto, con sullo sfondo tutta la baia che comincia a illuminarsi. Perché non si può dire di essere stati davvero a Cardiff, se non si è venuti fin qui.
Rientriamo contenti e stanchi, e anche un po’ più asciutti, dato che il vento si è alzato e ha spazzato un po’ di nuvole dal cielo. Speriamo che domani non ci serva più l’ombrello, nella capitale della terra del drago.