L'importante non è cosa guardi, ma cosa vedi
 
Rosso Fiorentino

Rosso Fiorentino

Già il nome evoca l’atmosfera. Energia, vigore, creatività. Un fuoco che crepita dall’interno e diffonde luce e calore vitale. Però bisogna vederlo, per capire davvero. E per dire di averlo visto bisogna vedere la sua opera più straordinaria, custodita nella Pinacoteca di un borgo medievale capace di rivelarti un frammento inedito della sua bellezza ad ogni nuova visita. Per questo ci siamo tornati volentieri, a Volterra, arroccata a una manciata di curve da noi, ignorando bellamente i vampiri che ultimamente pare bazzichino la zona per accompagnare occhi nuovi ad ammirare la creazione più spettacolare di questo artista del Manierismo italiano.
Che poi, ci sono molti altri pezzi più che validi lungo quel percorso museale, addirittura due magnifici Signorelli proprio in quella stessa sala, di cui uno è un’Annunciazione così raffinata da ricordare la grazia pura di Botticelli. Ma quando poi ti volti e ti ritrovi lì, inondato dalla luce che emana dal miracolo della Deposizione del Rosso, qualunque altra immagine scompare, oscurata da quella meraviglia. Non c’è più nulla intorno, non c’è più tempo, né spazio, né buio. Solo il fascio luminoso che rischiara quella scena potente, in cui i colori incredibilmente vividi non fanno che aumentare l’intensità del dramma rappresentato. Le dimensioni della tela sono imponenti, quasi 4 metri per 2, da rimanerne sopraffatti, se non se ne restasse incantati fin dal primo istante. Ipnotizzati da quella luce vivida, quel cielo terso e chiaro, quell’aria luminosa che sembra portare con sé il presagio della primavera e del suo tepore. Invece, in quell’azzurro limpidissimo, spicca prepotente la protagonista della scena, la Croce, enorme, potente, inamovibile, piantata in terra come un destino già scritto fin dalla notte dei tempi. Così grande da uscire fuori dai limiti della tela, insufficiente a contenerne il senso e le conseguenze per il destino degli Uomini.
La Croce è l’elemento che divide visivamente la scena in due parti, una alta e una bassa, ed è anche il punto fermo attorno al quale ruotano tutti i personaggi che popolano la rappresentazione, in un vortice che cattura e incanta. La parte superiore dell’immagine domina dall’alto, ci si arriva salendo le due scale appoggiate ai bracci di legno spalancati, insieme agli uomini che hanno il compito di mettere in atto quel gesto dolcissimo della Deposizione, e di colpo si percepisce l’intensità emotiva del momento. I movimenti lassù sono convulsi, la tensione è carica di angoscia. I muscoli sono tesi, un vento agitato altera le pieghe degli abiti e dei volti, l’aria risuona di rumori secchi e indicazioni nervose, come le voci di chi cerca di fare quello che c’è da fare mentre la lama del dolore gli sta tagliando il cuore.
Una sola figura se ne sta immobile e muta in tutto quel disordine caotico. E’ quella del Cristo morto, abbandonato tra le braccia indaffarate dei suoi discepoli, inerte, passivo, solo. Un guscio vuoto da cui l’anima si è sfilata via lasciando solo un corpo freddo e grigio, indifferente alla solerzia di chi se ne sta prendendo cura. Nel momento più tragico in assoluto della vita di Cristo, il Rosso riesce a rappresentare la caducità del suo essere un Uomo nel momento in cui questa si rivela definitivamente – la morte.
Il senso reale di questa immagine l’ho trovato anni fa in una piccola frase contenuta in uno dei miei Barnum preferiti: “mai un Dio è stato meno Dio ”. Ecco. E’ proprio così.
Ma bisogna ritrovarsi lì davanti per capirlo con esattezza, nel buio della sala e nella luce della grande tela, di fronte a quel corpo morto, per comprendere: se quello era il Figlio di Dio fattosi Uomo per scendere sulla Terra a salvare gli Uomini, certo adesso non resta più nulla di divino in quel corpo senza vita. Dei tre vertici del triangolo della Trinità quello è quello mortale, la cui finitudine terrena è indispensabile per completare l’Assolutezza di Dio. Questo è l’istante in cui il destino è compiuto, tutto è accaduto, e anche quel cielo così limpido si rivela ora per quello che semplicemente è: un luogo vuoto, e muto.
Lo sguardo scende piano da lassù insieme a quel corpo esanime, fino ai piedi della Croce, dove la scena si presenta completamente diversa. Qui non ci sono rumori né voci, l’agitazione di chi ha un compito da svolgere lascia il posto all’immobilità, il silenzio dilaga. Se in cima alla Croce gli uomini si davano da fare gridando, ai suoi piedi le donne sono ammutolite dal dolore, il capo chino sotto il peso della tragedia. Le Marie, rigide nei loro abiti dai panneggi scolpiti dalla luce, si stringono immobili alla Madonna, pietrificata in un dolore infinito. Il Battista, giovane e disperato, nasconde il volto nelle mani incapace di sopportare la vista di quella realtà inammissibile. I gesti sono minimi, i suoni spariti, tutto è compiuto e non si può più tornare indietro.
Unico elemento animato della scena, la Maddalena, che cade in ginocchio ai piedi della Croce, con il meraviglioso abito rosso fiamma che le fluttua intorno al corpo piegato dal dolore, le braccia che stringono disperatamente le gambe della Madonna, come per cercare in Lei un Perdono per questo errore fatale che possa racchiudere l’Umanità intera.
E’ bellissima, questa Maddalena viva, che piange e prega e libera la sua emozione per noi nel momento in cui tutti gli altri sono cristallizzati nel vuoto dei sentimenti rasi al suolo dalla falce della morte. E’ bellissima per il suo gesto così umano, sentito, e per come è rappresentata, con l’abito scarlatto che la avvolge con sensualità, la cintura dorata, i capelli biondi acconciati con raffinata eleganza, la pelle di alabastro che si intravede dal profilo del volto. Perché in effetti non si vede del tutto, quel viso, la Maddalena è voltata verso la Madonna in un modo che lascia scoprire solo l’orecchio e una piccola porzione della guancia, mentre sia gli occhi che la bocca restano in parte nascosti. Eppure è così che te la ricordi, dopo. Bellissima. Meravigliosa come una luce salvifica in mezzo a tutto quel dolore, quell’angoscia atroce, quello smarrimento dell’anima. La sua bellezza e il suo gesto vitale riaccendono la fiamma della speranza in quel vuoto senza più Dio, e istintivamente vai a cercare la risposta dove hai bisogno di trovarla, nel volto del Cristo morto. E a guardare bene, lassù, quello che sembra di vedere, è un piccolissimo sorriso.

2 commenti

  1. Ciao Clau !
    Grazie mille del tuo gentile commento! :o)
    Mi fa piacere che anche tu apprezzi questo genere di pittura, a me incanta e ti assicuro che dal vivo l’emozione che regala è fortissima e indimenticabile!
    A presto!
    Sally

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