Sveglia all’alba anche oggi, in questo giorno così speciale che è la vera ragione per la quale siamo qui. Alle 8 il sole splende già potente in un cielo di porcellana così azzurra da fare male agli occhi.
Mentre facciamo colazione al tavolino della nostra veranda decidiamo una specie di itinerario di massima per la giornata che ci porterà verso sud, fino alla famosa punta di Prassonissi, dove finisce l’isola, per vedere il punto in cui i due mari che la circondano, il Mediterraneo e l’Egeo, non hanno più terra che li separi, e possono incontrarsi di nuovo. Non è molto lontano, ci mettiamo meno di un’ora con la nostra Jimny lungo una strada liscia e tranquilla, scortati da un panorama di rocce brulle e spettacolari baie color smeraldo, piccoli centri fitti di negozietti e grandi strutture turistiche che neppure un certo tentativo di cura estetica riesce a rendere eleganti quanto pretenderebbero. Solo l’ultimo pezzo di strada è un po’ più difficoltoso, pieno di curve e sterrato, ma alla fine il colpo d’occhio è indubbiamente notevole. L’isola finisce davvero in una punta, la terra si restringe in un cono piatto di sabbia che si allunga in una lingua sottile, appena percettibile dall’alto, per poi allargarsi di nuovo in un promontorio tondeggiante che si solleva sul livello del mare, grossa goccia di terra gonfia che sembra continuamente sul punto di staccarsi, secondo i ritmi e la volontà delle maree. A poterla vedere da dove volano i gabbiani, deve essere ancora più spettacolare.
Scendiamo la serpentina di curve fino giù al parcheggio che è già spiaggia, lo spazio a disposizione è occupato da parecchie auto e camper sistemati in file regolari. Alle spalle della spiaggia ci sono due taverne sempre aperte e diverse strutture dove dormire o fare spese, così che anche chi decide di venire a fare la sua vacanza quaggiù allo sprofondo non è proprio in mezzo al deserto. Scendiamo e ci inoltriamo a piedi verso la punta, spinti da un vento forte e teso. La spiaggia sulla destra è quella della costa occidentale, che finisce così come arriva da su, battuta dalle onde e bianca della schiuma del mare agitato, la spiaggia sulla sinistra invece è una lingua di sabbia accarezzata da onde piccole e dolci, limpidissime, luccicanti nel sole. L’unica cosa comune è il vento, forte e continuo, che spazza a suo piacimento ogni angolo di questa distesa piatta. C’è molta gente in giro, alcuni passeggiano altri sono addirittura distesi a prendere il sole, ma nonostante la particolarità del luogo non m’interesserebbe passare una giornata intera qui. La spiaggia è poco tenuta e un po’ sporca, la sabbia è scura e grossolana, lo spazio a disposizione è vasto e tutto libero ma non è certo l’ideale per stendersi, il vento forte ti soffia la sabbia addosso, e chi si stende deve adattarsi a sistemare l’asciugamano in posti poco puliti. Ma se sei un serfista, allora devi stare qui, non c’è posto migliore in tutta l’isola. Decine di kitesurf volano in aria come farfalle colorate con le ali gonfie di vento, trascinandosi dietro ragazzoni robusti che hanno l’aria di divertirsi un mondo. Loro sì, che sono uno spettacolo da non perdere.
La cosa più bella per me, comunque, quella per cui sono venuta apposta fin quaggiù, è vedere il punto esatto dove i due mari si incontrano. O meglio, si scontrano. Perché l’impressione che danno, qui, queste due onde contrarie che vanno a sbattere una contro l’altra all’infinito, non è quella di un abbraccio, né di mani che si toccano dai due lati di un confine, ma di uno scontro semmai, un urto, un tentativo trattenuto ma pronto a farsi più intenso di prevalere una sull’altra. C’è inquietudine in questo movimento infinito, nervosismo, persino in questa giornata di mare liscissimo. Però la striscia di sabbia lungo la quale i due versanti di onde si avvicinano è bellissima, terra di nessuno neutrale e silenziosa, meridiano indifferente, testimone paziente della più inutile delle battaglie. Sentire l’acqua che ti sfiora i piedi è bello, ma sentire due onde diverse arrivare a tirarti i piedi da due direzioni opposte è strano, e nuovo, lascia confusi, e disorientati. Insomma, da che si vede il mare per la prima volta, da piccoli, si impara che quello lì dove mettiamo i piedi è il bordo più vicino a noi di quello sconfinato elemento acquatico che si srotola libero fino dall’altra parte del mondo. Voltarsi e trovare un altro confine esattamente uguale al primo distendersi dalla parte opposta è decisamente insolito, e sconcertante. Una visione che confonde, un corto circuito per gli occhi e per il cervello. Perché se c’è una cosa che per tutti è una è il Mare, e qui di colpo ci si trova di fronte a due. Molto singolare.
La lingua di terra che divide la spiaggia dal promontorio si infila sott’acqua per una distanza di qualche decina di metri, la profondità non è eccessiva, forse intorno a 2 metri, e diverse persone tentano il guado del tratto a piedi per arrivare di là ignorando completamente i cartelli di pericolo. Però non è una buona idea, anche se le acque non sono profonde le correnti sono molto forti e ti possono trascinare via in un attimo. Dopo un ultimo giro torniamo verso l’auto, lasciandoci i due mari e il vento alle spalle.
Risalendo verso nord lungo la via costiera vediamo un cartello che indica la “Fabbrica della seta”, al bivio con una stradina sterrata che porta tra i campi, verso quel che resta di un grosso edificio diroccato. Svoltiamo incuriositi e lo raggiungiamo in pochi minuti. Si tratta effettivamente del rudere di una grande struttura recintata con un ingresso ad arco elegante, che però all’interno non conserva assolutamente più niente di quello che era. Qualche muro divisorio, una nicchia, erbacce dappertutto dove un tempo, chissà come e perché, si fabbricava il tessuto più morbido e lucente che esista.
Continuiamo lungo la stessa stradina sterrata, superando capre curiose e casupole sperdute, e costeggiamo i resti in pietra di un’antica struttura che un tempo era una chiesa dedicata a San Paolo, che secondo la leggenda su quest’isola fece effettivamente naufragio e che qui svolse parte della sua opera di evangelizzazione.
Raggiungiamo di nuovo la via principale, e poco più su ci fermiamo ancora nel cortile di una chiesa che avevamo notato all’andata per vedere meglio di cosa si stratta. Sembra una chiesa in pieno restauro, anche se al momento non c’è nessuno che sta lavorando. Il cartello dice che è dedicata a San Marco, la struttura è abbastanza grande ma essenzialmente la forma è quella classica, mura bianche e tetto rosso a botte, portale di mattoni ad arco sulla facciata semplice, e un campanile di mattoni a fianco sul quale è in funzione un orologio, proprio sotto alla campana. All’interno i lavori in corso sono ancora più evidenti, l’ambiente unico è completamente vuoto, il pavimento è ingombro di calcinacci, l’altare è coperto da teli di nylon impolverati, tutto è stranamente candido nella luce smorzata che entra dalle finestre.
A fianco della chiesetta una porta conduce a un piccolo chiostro, un portico quadrato con arcate che si aprono verso il centro sorrette da colonne e capitelli decorati da croci, molto bello ma in pessime condizioni. Ci sono molte macerie a terra e diverse parti fortemente pericolanti, le mura sono scrostate e imbrattate di scritte e la zona centrale, che di solito comprende un prato o delle piante, è una nuda gettata di cemento segnata da crepe. Non si capisce se i lavori di ristrutturazione riguarderanno anche quest’area, ma ci auguriamo di sì perché sarebbe bello che quest’angolo così affascinante fosse recuperato al meglio.
Continuiamo ancora lungo la strada che ci riporta in direzione di Lindos, fa caldo e il sole splende quasi al massimo della sua forza, però prima di arrivare alla spiaggia che abbiamo scelto per oggi vediamo un’altra indicazione verso una piccola chiesetta, e non resistiamo alla curiosità di fermarci anche qui. Parcheggiamo vicino alla zona esterna delimitata da pietre e piante, perfettamente tenuta, e ci avviciniamo alla minuscola cappella che sembra deserta. Diversamente da altre, questa non è bianca ma in pietra invece, piccola ma molto bella, con il tetto rosso a croce. Sembra tutto chiuso, ma ormai ne abbiamo viste diverse per sapere che basta abbassare la maniglia per entrare. Così è anche qui. L’ambiente unico è semplicissimo e molto curato, tappeti, sedie, qualche icona appesa, e il piccolo altare addossato alla parete sul fondo.
Non mancano un porta candele e un bel leggio in legno per la Bibbia, e il solito tavolo con olio e accessori vari necessari a tenere tutto in perfetto ordine. Fa molto caldo all’interno, eppure l’atmosfera è intima e semplice, ideale per favorire un momento di raccoglimento in chiunque abbia la voglia o l’occasione di passare di qui. L’impressione è che la devozione di chi si occupa di queste minuscole case di Dio sia davvero grande nella sua umiltà, senza fronzoli inutili né sfoggio vanitoso di orpelli superflui. Forse è questo che rende questi piccoli posti così piacevoli da visitare.
Finalmente, dopo pochi altri chilometri in direzione nord, raggiungiamo la spiaggia di oggi, Gennadi beach, indicata sulla guida come una delle più belle di questa parte di costa. Parcheggiamo e scendiamo verso la riva, che ci conquista subito a prima vista. Il posto è grande e tranquillo, c’è solo una fila di ombrelloni bianchi e gialli sulla ghiaia colorata, e sono quasi tutti liberi. Non vediamo nessuno per pagare così ci sistemiamo dove più ci piace, ormai sappiamo che prima o poi verrà qualcuno a riscuotere direttamente qui. La baia è molto ampia, praticamente una striscia di diversi chilometri che si perde ai due lati opposti, e noi siamo all’incirca a metà della lunga linea di costa. La spiaggia è di ghiaia colorata, sassolini piccoli e tondeggianti che scivolano fino al bagnasciuga dove l’acqua fresca li fa luccicare.
Facciamo il bagno poco dopo essere arrivati, Luca resta meno in acqua perché è più fredda del previsto e il sole scotta, ma io non resisto a tanta meraviglia e ignoro il rischio di bruciarmi pur di stare il più a lungo possibile in questo mare meraviglioso. Faccio un bagno lunghissimo in quest’acqua cristallina, quasi incredula di avere tanta bellezza tutto intorno a me.
Tutte le sfumature possibili dell’azzurro si dispiegano tra la riva rosata e l’orizzonte, per sciogliersi nel blu intenso del cielo. Quello disteso di fronte a noi è il Mediterraneo, e chi non l’ha mai visto deve venire qui, per conoscerlo. Questa è la vera bandiera della Grecia, questo azzurro e questa luce bianchissima sono i due soli colori in grado di rappresentare questa terra antica fatta di isole sparpagliate nel mare più bello che esista.
Dopo il bagno mangiamo la nostra frutta e ci riposiamo all’ombra, un ragazzo è passato a ritirare i suoi 7,00€ per la giornata, e difficilmente si potrebbe spendere questa cifra meglio di così. Restiamo a fare bagni e riposare fino a tardi, peccato solo che l’acqua sia decisamente più fredda rispetto a quella di Vlyha, ma forse l’impressione è dovuta anche al fatto che oggi l’aria è particolarmente calda. Sono quasi le 7 quando raccogliamo le nostre cose e ci prepariamo a tornare verso Lindos, la spiaggia è così calma e bella a quest’ora che lasciarla non è facile. E di certo ne porteremo il ricordo sempre con noi.
Rientriamo a casa e ci prepariamo per la cena di stasera, che dovrà essere un po’ più speciale del solito. Facciamo un giro in centro alla ricerca di un locale carino che ci ispiri, e alla fine scegliamo il Symposium, un bel ristorante lungo la via principale, con i tavolini all’aperto, un salone a pianterreno e la solita terrazza sul tetto. Il cameriere è un ragazzo italiano, Marco, che ci fa scegliere il tavolo che preferiamo nella sala che ci piace di più, giù vicino alla finestra, in un’atmosfera tranquilla e romantica, molto caratteristica, tra candele e arredi in legno e pietra.
Non appena gli diciamo che questa è una serata speciale si occupa di noi con grandissima gentilezza e competenza, e ci consiglia piatti e vino in maniera impeccabile. Cominciamo con degli antipasti squisiti a base di pesce freschissimo, dal sapore delizioso, accompagnati da crostini guarniti da salsine profumatissime.
Per secondo scegliamo ancora pesce naturalmente, gamberoni giganti e soprattutto granchio al forno, presentato in maniera molto scenografica, con il titolare del ristorante che viene personalmente a tagliare e svuotare le grosse chele profumate al nostro tavolo. Una vera squisitezza, così come la crème brûlé che Marco ci porta a sorpresa a fine cena, morbida e piacevole come questa serata.
Ci ricorderemo di questa giornata, e di questa serata così speciale nella quale siamo felici di brindare a un altro anno bellissimo passato insieme. Il brindisi è facile, in fondo: al prossimo. Ya mas!