Il mondo di Sally

L'importante non è cosa guardi, ma cosa vedi
 
Il mondo di Sally

Giovedì 30 dicembre 2010: Funicolare Nordketten – Alpenzoo – Salisburgo

Non nevica stamattina, ma fa freddo ed è umido. Facciamo colazione con calma, poi sbrighiamo il check out e decidiamo di andare in auto verso la stazione della funicolare del Nordketten. Il cielo non è dei migliori e non sappiamo se riusciremo a vedere qualcosa, ma Innsbruck è soprattutto una località sciistica circondata da vette alpine e non vogliamo perdere l’occasione di salire su ad ammirare il panorama delle montagne dall’alto. La prima stazione di questa nuovissima funicolare è in città, nei pressi del Palazzo dei Congressi, ma dato che siamo in auto saliamo fino alla stazione Hungeburg, dove chi acquista il biglietto ha diritto al parcheggio gratuito per l’intera giornata. Una signora molto gentile ci spiega tutto, compresa l’offerta combi-ticket per la tratta che va verso il basso e che permette l’entrata gratuita all’Alpenzoo, della quale magari approfitteremo più tardi se avremo tempo. Intanto vogliamo andare in su, più in alto possibile. Il biglietto è costoso (23,00€ a testa), come per tutte le funicolari, ma la tratta è composta da due stazioni su due diversi livelli e ci possiamo fermare dove vogliamo. Ritiriamo i Pass e ci avviamo verso questa famosa stazione, curiosi di vedere che effetto fa dal vivo. Il progetto è dell’architetta irachena Zaha Hadid, completato nel 2007. Ed è bellissimo. Un’enorme conchiglia biancastra con sottili striature nere si dischiude con leggerezza per lasciare entrare i viaggiatori diretti alle cabine. La linea è morbida e fluida, le curve dominano, non c’è un solo spigolo in tutta la struttura, e gli incroci di linee che la attraversano non fanno che rendere la cosa più evidente. Il materiale è solido eppure sembra fatto di luce, ancorato al suolo di cemento come un palloncino legato al filo perché non voli via. Un’onda, un ghiacciaio, un’astronave, un elemento di grandissima armonia e semplicità che ci piace immediatamente. (vedi altri lavori di Zaha Hadid su Artsy)

Anche l’interno è curatissimo, e le cabine ultramoderne in pochi minuti ci porteranno su alla prima stazione, la Seegrube. C’è molta gente nella navicella, molte persone hanno attrezzature complete per sciare o fare snow board così siamo un po’ pigiati. Per questo, quando dico a Luca che spero che riusciremo a vedere qualcosa nonostante le nubi, un ragazzone biondo vicino a noi non può fare a meno di ascoltare, e mi rassicura con un sorriso. “Tranquilla”, dice in italiano dal forte accento tedesco, “lassù tutto pulito, sole, oggi giornata bella, fa caldo che ti puoi togliere il giacchetto! Si vede tutto, monti austriaci e anche vette italiane. Molto bello lassù.” Ha l’aria abbronzata e atletica di uno che ne sa di vette e sorride sicuro, quindi ci fidiamo. Infatti, a mano a mano che la cabina sale usciamo lentamente dalla coltre di nubi che ricopre la città e il cielo si fa più sereno, e poi sempre più azzurro e pulito. Quando finalmente scendiamo dalla cabina affollata e arriviamo sulla terrazza della Seegrube, a 1900 metri di altezza, restiamo incantati dallo spettacolo straordinario che si dispiega davanti a noi. Siamo sull’orlo di una montagna candida, sotto di noi solo le piste innevate, di fronte a noi una corona di vette che chiude a cerchio l’orizzonte, e in mezzo, immersa in un lago ovattato di nuvole, Innsbruck che riluce lontana nei suoi tratti essenziali – strade, binari, e il nastro del fiume. Più lo sguardo si abbassa più entra nella foschia nebbiosa che avvolge la città, ma più si alza più la luce domina, facendo scintillare ogni cosa e rendendo immediatamente evidente che quassù siamo più vicini al cielo. Non potevamo sperare in una giornata migliore per salire fin qui.

Questa è di fatto la fermata degli sportivi, dove cominciano alcune delle principali piste frequentate ogni giorno da sciatori di tutto il mondo che sono molto affollate anche oggi. Adulti e bambini in tute coloratissime si divertono su tutti i tipi di discese, dalle più semplici alla terribile nera che sembra una parete da scalare tanto è ripida, mentre gli snowbordisti più giovani si lanciano dai trampolini di salto con un coraggio da leoni. Ci sono tanti adulti e ragazzi, ma anche molti bambini piccoli in una pista-scuola, dove un maestro fa la sua lezione con la musica mentre i genitori scattano foto. E poi ci sono quelli come noi, che passeggiano e si guardano intorno incantati e hanno la sensazione di non riuscire a far stare tutto quell’orizzonte immenso e bellissimo negli occhi, altro che di un fish-eye avrebbero bisogno, e si accontentano di respirare, e registrare tutta quella meraviglia nella memoria del cuore.

Saliamo ancora più su con la funivia, fino ai 2300 metri della stazione Hafelekar, e se possibile qui lo spettacolo è anche più fantastico. Le montagne sono ancora più vicine, allineate a difendere l’orizzonte da millenni. Sopra solo cielo, sotto un tappeto di nuvole, intorno solo bianco e luce e silenzio. Si sente solamente lo scricchiolio soffice della neve sotto gli scarponi, gli sciatori più in basso scendono piste di panna montata, figurine colorate che vanno giù silenziosamente come in un monitor senza volume. Questo è quello che più amo della montagna, ormai lo so e lo riconosco, il silenzio, l’assenza di suoni altri dai suoi, l’aria libera e vuota di tutto tranne che di luce. Qui siamo sulla Terra più bella, lontani dal mondo di tutti i giorni e al di sopra della piccolezza umana, quelli di giù ora possono solo cercare di vederci attraverso la nebbia grigia che li avvolge.

Scaliamo faticosamente un promontorio camminando nella neve alta fino a una croce di legno, in vetta alla vetta, gli unici suoni che sento sono il mio respiro affannato e il ritmo sordo dei battiti del mio cuore che mi pulsa nelle orecchie. Restiamo un po’ lassù in silenzio, ad ammirare il panorama spettacolare che si stende davanti ai nostri occhi come su uno schermo immenso.

L’aria è cosi fine e limpida che sembra quasi non ci sia, è sole che scintilla su un tappeto di nuvole cosi perfetto che viene voglia di rotolarcisi sopra. Un aereo piccolo come un uccellino argentato ci passa davanti sull’orizzonte, e il cielo in cui vola è decisamente più in basso di noi. Le aquile penseranno che il mondo è un posto bellissimo.

Cominciamo a ridiscendere lentamente quando altri avventurosi si inerpicano fin quassù, tutti fiatone e sorrisi, pronti a reclamare il loro turno di godersi lo spettacolo delle vette scintillanti. Riprendiamo la Nordkette fino alla stazione Seegrube e poi, visto che purtroppo oggi il ristorante qui è chiuso, continuiamo a scendere fino alla Hungeburg, dove facciamo i combi-ticket (10,00€ a testa) per la tratta che va alla fermata Alpenzoo e che comprende l’ingresso alla struttura. Si tratta dello zoo più alto d’Europa, a oltre 750 metri sul livello del mare, nel quale sono ospitati principalmente animali della fauna alpina come camosci, stambecchi, aquile, lupi, linci e simili. Il cielo qui è abbastanza aperto, la temperatura accettabile, e dalla piantina comprendiamo che lo zoo non è immenso, quindi possiamo farcela a vedere tutto con calma prima di rimetterci in viaggio verso Salisburgo. Tra i primi animali che ammiriamo ci sono le Lontre, e rischio di passare davanti a loro la metà del tempo disponibile… Deliziose. Svelte, agili, sinuose, curiose, nuotano e giocano sotto i nostri occhi come piccole creature danzanti fatte di seta. Se c’è una cosa che invidio profondamente è la loro padronanza perfetta dell’elemento acquatico, una meraviglia.

Lì vicino c’è un piccolo punto di ristoro, così ci prendiamo 2 panini e ce li mangiamo all’aperto, mentre passeggiamo tra i recinti. Poco più su trovo i miei adorati Lupi, sono un intero branco, dorati, svegli, potenti, non sono esili come quelli liberi ma hanno belle strutture, e istinto allerta. E poi quegli occhi. Fuoco, lama, mirino. Specchi trasparenti di coraggio, dignità, libertà. Chi lo ama sa che non si deve mai guardare dritto dentro gli occhi di un lupo – o lui si accorgerà che nel nostro sguardo non c’è neppure il pallido riflesso della forza della sua luce, e farà di noi un sol boccone.

Chi pensa che l’uomo sia superiore a qualunque altra creatura, conosce troppo poco gli animali. Ai miei occhi questi sono particolarmente straordinari, e anche se li rispetto tanto da temerli, per un momento vorrei che questa rete non ci fosse, che stessero lì a un metro da me senza nessuna barriera, e fossero liberi di abitare l’intero bosco a loro piacere. Perché i lupi non sono animali, sono spiriti, e uno spirito non lo puoi chiudere dentro a niente, non c’è verso, basta guardarli muovere per capirlo. Saliamo ancora lungo i vialetti indicati sulla piantina e incontriamo creature più o meno rare, stambecchi con corna meravigliose, camosci tenerissimi che scendono lungo le rocce in equilibrio su minuscoli zoccoletti per venire a curiosare vicino alla rete, alci enormi e pigri sdraiati al sole, bisonti americani dall’aria annoiata immobili su un fazzoletto di terra fangoso.

Molte sono le voliere di grandi uccelli, fatte in modo che si possa entrare dentro senza rischiare di far scappare l’ospite, e che regalano l’emozione di trovarsi a tu per tu con condor e avvoltoi senza barriere che ci separino. Per trovare la lince invece ci mettiamo un po’, perché il suo recinto è molto grande ma soprattutto pieno di alberi, e lei ama nascondersi proprio tra i rami più alti di un abete enorme, e mi ci vuole tutta la potenza del mio zoom (grazie, stabilizzatore!) e Luca che mi fa da cavalletto per scovarla e ritrarla in maniera decente.

C’è anche tutta una sezione di animali da fattoria, mucche, pecore, maiali, capre, galline, tutti molto simpatici e apparentemente a loro agio in questo ambiente così insolito.

Uno degli animali che avrei amato tantissimo vedere è la marmotta, ma purtroppo questo è periodo di letargo invernale per loro, dunque niente da fare. Invece l’orso bruno c’è eccome, enorme e inquieto, cammina avanti e indietro lungo un sentiero innevato che costeggia il fossato, una precauzione in più per evitare qualunque possibilità, non si sa mai. Si sposta appoggiando le zampe sempre esattamente negli stessi punti lungo quei 10 metri, arriva in cima, gira e riparte daccapo, per un momento somiglia a un matto in gabbia che non farà mai niente di diverso da quello per sempre. Ma non è così. Ad un certo punto spezza quel gesto monotono e si ferma, annusa l’aria, guarda in alto, verso di noi, nuvolette di fiato bianco gli carezzano il muso. Chissà cosa ha sentito. Luca allunga un braccio e lo chiama per attirare la sua attenzione, gli parla sottovoce mentre io scatto foto, “ribellati, arrabbiati, fai un urlo…dai bello facci sentire, siamo dalla tua parte, se vuoi qui te li mangi tutti…”. Ma lui lo ignora, la sua pausa dura poco. Riabbassa la testa e riparte, ricominciando a posare i suoi passi pelosi lungo il solito solco di prima.

Restiamo un po’ lì a guardarlo, enorme e potente e annoiato, poi decidiamo di andare, fa freddo e noi non abbiamo la sua pelliccia, e comunque è ora di mettersi in viaggio. Torniamo alla funicolare, che qui in realtà è un treno veloce che risale la montagna passando anche attraverso un tunnel, e riprendiamo la nostra auto sistemata nel parcheggio da stamattina.

E’ tempo di lasciare Innsbruck, che ci è piaciuta molto sia nel suo lato cittadino che in quello più naturale, per dirigerci verso Salisburgo. Ci arriviamo in meno di un paio d’ore di autostrada liscia liscia, quando entriamo all’Hotel Hohenstauffen l’aria comincia già a scurire. Ci accoglie una signora gentile, la hall è molto carina e anche la stanza lo è nonostante non sia grandissima, abbiamo addirittura un letto a baldacchino rivestito di stoffa decorata a rose. Il bagno è perfettamente pulito e accessoriato, e anche su questo letto troviamo i due piumoni singoli ripiegati come avevamo a Innsbruck. Non abbiamo idea del perché qui mettano due coperte separate su un letto unico, ma tant’è, ogni luogo ha le sue abitudini… Sistemiamo le nostre cose e poi decidiamo di uscire per cercare un posto dove mangiare qualcosa prima che sia troppo tardi. C’è un ragazzo simpatico alla reception quando riconsegniamo la chiave prima di uscire, così gli chiediamo qualche indicazione per non camminare troppo e mangiare tranquilli, e lui ci indica il ristorante di un altro Hotel lì vicino, e ci regala perfino due bigliettini da visita da presentare a nome dell’Hotel Hohenstauffen che ci garantiranno due coppe di Brut omaggio per brindare al nostro arrivo in città. Il ristorante è davvero a cinque minuti di cammino e veniamo accolti con molta cordialità, in un ambiente poco affollato dove tutti hanno l’aria di conoscersi. Ceniamo con piatti tradizionali di zuppa e carne, molto buoni, e alla fine riceviamo davvero i nostri due calici di benvenuto come promesso. Non ci poteva essere un modo migliore di cominciare il nostro soggiorno qui. E domani finalmente vedremo se davvero questa città è bella come ce l’aspettiamo. Se solo nevica, sai che spettacolo.

Mercoledì 29 dicembre 2010: Schloss Ambras – Maximilianeum – St Jakob Dom – Hofkirche

Stamattina un sole splendente fa brillare tutta la neve caduta ieri, e rende l’aria scintillante. Facciamo colazione al buffet della sala del Sailer, dove un bellissimo thermos in stile ottocento tutto riccioli e bombature tiene in caldo un caffè dal gusto migliore del previsto,

poi usciamo e raggiungiamo a piedi la vicina stazione, dove prendiamo un autobus che ci porta allo Schloss Ambras. Sono solo 3 fermate, ci si arriva in pochi minuti attraverso le vie che escono dal centro, oltre il ponte sull’Inn e su sulla collina accovacciata a fianco della città, il luogo ideale per sistemare la fortezza che aveva sede qui prima di essere trasformata in un castello residenziale. Attraversiamo l’arco d’ingresso e ci ritroviamo nel parco, e tanto già basta per conquistarci.

Il cielo è di un azzurro carico, il viale e i giardini sono completamente ricoperti da una coltre candida che ne ridisegna i profili con dolcezza, la superficie del laghetto è in parte gelata e luccica al sole mentre cigni, papere e coloratissimi uccelli d’acqua vengono a frotte a mangiare i semi presi alla macchinetta che Luca getta in acqua.

Tutto brilla, l’aria è fresca e il cielo è limpido, è una giornata ideale per andare in giro ad ammirare cose belle. Dopo aver salutato le anatre che si godono il bagno nell’acqua gelata continuiamo a seguire il sentiero in direzione del castello, e assistiamo a una scena davvero insolita. Un inserviente sta lavorando nel giardino, indossa una tuta e un cappello di lana, e regge in mano una specie di lungo spazzolone col quale pettina via la neve da sopra alle siepi che disegnano i bordi del viale. Lo fa con tutta calma e con grande precisione, spazzola e ritocca e aggiusta, e quando ha finito con una passa alla successiva, metodico, lento, esatto, lasciando dietro di sé una geometria di foglie verdissime che respirano di nuovo. Incantevole. Potrei restare a guardarlo per ore. Invece dobbiamo andare, il castello ci aspetta. Il biglietto (7,00€ a testa) da accesso ai diversi edifici che compongono l’area originaria dello Schloss, che era la dimora dell’Arciduca d’Austria Ferdinando II nel XVI secolo.

Il primo edificio che visitiamo è l’Armeria, una spettacolare serie di saloni perfettamente restaurati dove sono conservate armature e armi originali risalenti al XV e XVI secolo, esposte in maniera così bella e curata da lasciare incantati. Le armature di metallo scintillano sui manichini di velluto come appena forgiate, gli elmi hanno le visiere calate, le lance sono in posizione, i cavalli perfettamente bardati, tutto sembra pronto per cominciare la battaglia.

Cavalieri splendenti stanno per sfidare la morte vestiti di tutto punto e ornati in ogni dettaglio, mentre fedeli soldati di fanteria formano file compatte di uomini votati alla difesa del loro signore. Se ne stanno tutti lì, immobili e silenziosi, in un’attesa lunga secoli.

L’allestimento è davvero scenografico, e nonostante nelle sale faccia parecchio freddo ce lo godiamo con calma e con grande piacere. Usciti dall’armeria saliamo una scala esterna fino ad un porticato di legno che offre una bellissima vista ed entriamo in un’altra ala del castello, quella delle Curiosità, che contiene oggetti molto stravaganti appartenuti all’imperatore Massimiliano I, tra le quali ci sono incredibili cabinet di corallo e madreperla scolpiti, porcellane decorate, quadri che ritraggono esseri deformi o spaventosi, animali rari impagliati, abiti di seta, strumenti scientifici, collezioni di armi e di statue in marmo e gesso, scene religiose realizzate interamente in vetro colorato, e divise da samurai giapponesi del XVII secolo.

Un bric-à-brac stravagante e curioso che sconfina spesso nel kitsch, ma che rende l’idea di cosa potesse ricevere in dono un imperatore in quei tempi. Dopo le curiosità è la volta del corpo centrale del castello, dove si trova la famosissima – e spettacolare – Sala Spagnola, un salone d’udienza lungo oltre 30 metri con grandi finestre che si aprono sul lato sinistro, mentre la parete a destra dell’entrata è completamente ricoperta di enormi affreschi raffiguranti i ritratti degli uomini più importanti della dinastia degli Asburgo. Il soffitto è in legno a cassettoni finemente decorati, mentre il pavimento è una geometria di piastrelle di marmo che fanno risaltare splendidamente le pareti affrescate. Le finestre hanno gli sguanci decorati da grottesche e sono tutte sovrastate da grandi corna di animali di specie diverse.

Ma la cosa che colpisce di più, insieme alla luminosità e ai colori vivaci e intensi della sala, è la sua dimensione, l’estensione, e l’impressione di ampiezza che suscita immediatamente nel momento stesso in cui ci si affaccia dai battenti della grande porta di legno scolpito. Davvero una sala spettacolare, che a modo suo regge il confronto con molti dei grandi saloni di rappresentanza dei maggiori castelli reali europei. Dopo la visita alla Sala Spagnola ridiscendiamo la scala di accesso e usciamo all’esterno, nel piccolo spazio dell’orto delle piante officinali, che oggi è completamente ricoperto da uno strato spesso di neve che le rende tutte uguali e tutte ugualmente inutilizzabili, e però bellissime. L’orto si trova in alto, sulla cima di una piccola collina dalla quale la vista sui giardini bassi del castello è la visione candida e incantata di un paesaggio di fiaba.

All’interno dell’edificio successivo visitiamo la famosa sala da bagno di Philippine Welser, la moglie dell’Arciduca d’Austria Ferdinando II per la quale l’antica fortezza era stata trasformata in residenza di lusso, che aveva fatto costruire questa sala da bagno rivestita di pannelli di legno e dotata di una vasca di zinco sistemata a livello del suolo profonda oltre un metro e mezzo per fare qui i suoi bagni termali alla maniera degli imperatori romani. Di certo, Philippine sapeva quali sono le cose piacevoli della vita…

Purtroppo la parte superiore del castello dove è sistemata una notevole collezione dei ritratti è chiusa, così visitiamo la Cappella di St Georges voluta da Maximilian I, che contiene sculture in legno notevoli e una bella galleria di dipinti, quindi usciamo fuori e ci avviamo verso il parco. In estate il giardino è pieno di fiori, e file di aiuole colorate abbelliscono l’ambiente tutto intorno, mentre adesso ogni centimetro di terreno è sepolto sotto una soffice coltre bianca che nasconde tutto. Niente colori per noi ma uno spettacolo uniformemente candido invece, che personalmente preferiamo di gran lunga. Facciamo un giro nel bosco intorno, lungo i sentieri e i vialetti seminascosti sotto la neve, e ogni angolo ci appare straordinario.
Ma come fa, la neve, a fare tutto così bello?

Per scendere in città prendiamo di nuovo l’autobus e in pochi minuti siamo in centro, lontano da tutta quella magia silenziosa. Entriamo a dare un’occhiata alla Servum Kirche e ci accoglie la musica solenne e potente del grande organo, che scende dall’alto come una luce. Ma le navate sono vuote, il talento e la passione dell’organista oggi sono solo per Dio. Quando usciamo torniamo verso Marie Theresien Strasse, al mercatino di Natale, e mangiamo pane e salsiccia e Gröstl all’aperto, nell’aria fredda e soleggiata delle 2. Poi proseguiamo verso il Goldenes Dachl per fare qualche foto della città alla luce del giorno, e ci appare molto più colorata e vivace di ieri sera.

Entriamo nel Maximilianeum (4,00€ a testa, audioguida compresa) per saperne di più di questo strano bovindo e della storia del suo proprietario, e la visita è interessante e dettagliata. C’è poca gente all’interno, e riusciamo a vedere il balconcino anche dalla parte di qua. Curioso.

Poco dietro al palazzo del Maximilianeum c’è la Cattedrale di San Giacomo, che è il Duomo cittadino, con la facciata romanica e l’interno barocco riccamente decorato. E’ una chiesa spaziosa, luminosa, piena di marmi e stucchi dorati, arcate e cupole affrescate, con un imponente organo al di sopra del portale d’ingresso e un bel dipinto di Cranach il Vecchio raffigurante una Madonna con Bambino come pala d’altare.

Dal Duomo andiamo direttamente alla Hofkirche, forse la chiesa più famosa della città, per la quale è necessario dotarsi di un biglietto d’ingresso (4,00€ a testa). Mi da sempre fastidio dover pagare questo tipo di biglietti, perché credo che se c’è un luogo che deve essere sempre e comunque aperto a tutti questo è proprio una chiesa, e far pagare l’ingresso non è né giusto né simpatico. Però questa ero proprio curiosa di vederla, perché non riuscivo a immaginarmi l’effetto che potevano fare le 28 statue di bronzo a grandezza naturale messe a guardia del cenotafio di Maximilian I, e quando finalmente me le ritrovo di fronte ho la prova che ci sono modi decisamente peggiori di spendere 4,00€. La chiesa è ampia e ricca, colonne sottili di marmo salgono alte fino a unirsi in archi acuti e volte a vela al di sopra della navata centrale, che è lo spazio principale della chiesa, totalmente sgombro da panche o sedute di qualunque tipo e invece quasi completamente occupato dal monumento funebre dedicato Maximilian I (che alla fine fu sepolto da un’altra parte, per sua volontà), composto da un’enorme tomba scolpita con scene della vita dell’Imperatore racchiusa all’interno di una cancellata di ferro battuto nero e dorato lavorato finissimamente, tutto volute e riccioli, foglie e angeli, fiori e arabeschi eleganti, e sormontata da una statua dello stesso Maximilian in ginocchio tra due angeli. Ma soprattutto, ai lati della navata, in due straordinarie file di testimoni eterni e muti, stanno 28 meravigliose statue di bronzo raffiguranti alcuni dei suoi familiari più illustri, mogli e figli, padre e sorella, imperatori e regine della famiglia insieme a cavalieri famosi per il loro eroismo, in una sequenza che lascia stupefatti per l’impressione di grazia e potenza insieme che trasmette al primo sguardo. Ogni statua è perfetta in ogni più minuto dettaglio, dalle elaborate acconciature e merletti delle dame alle ricche armature dei re, ma senz’altro una delle più belle è quella che rappresenta Re Artù, che Maximilian ammirava molto, raffigurato in un cavaliere alto e sottile, elegantissimo nella posa, con l’elmo in testa e lo scudo al fianco, davvero bellissimo. Un monumento funebre straordinario, creato intorno a una tomba vuota.

In questa stessa chiesa, nella Cappella d’Argento, si trovano anche le tombe dell’Arciduca Ferdinando II e di sua moglie Philippine Welser, mentre vicino all’entrata si trova quella del patriota tirolese Andreas Hofer. Un luogo davvero particolare, che siamo contenti di aver visto. All’uscita dalla chiesa passiamo attraverso un’installazione moderna un po’ stravagante che, con l’aiuto di proiezioni video, macchine meccaniche e giochi di luce e buio ricostruisce in maniera suggestiva la storia della Hofkirche, che seguiamo insieme a una coppia di tedeschi dall’aria molto divertita. In fondo alla hall d’ingresso della chiesa, che fa anche da entrata per il museo dell’artigianato tirolese, si apre un piccolo vano che da accesso ad un paio di grandi stanze dove sono state sistemate una ventina di teche di svariate misure nelle quali sono allestiti presepi di ogni genere. Un panorama multicolore di montagne, casette, grotte, boschi, ruscelli, pastori che pascolano greggi numerosi e miti, e sacre famiglie di tutte le dimensioni e le espressioni, e sopra a tutto, appesi a invisibili sottilissimi fili, schiere di angeli e cherubini con ali variopinte, vesti svolazzanti e braccia spalancate ad accogliere il Bambinello. Alcune teche sono molto grandi, e nello spazio a disposizione l’allestitore si è divertito ad aggiungere decine di personaggi a piedi e a cavallo, piante, soldati, artigiani, bimbi, animali esotici, ricreando il film di un’umanità colorata e varia testimone di questa venuta speciale. Sono tutti presepi interessanti, è evidente che sono stati fatti con grande cura nonostante i materiali siano per lo più poveri come plastica, cartapesta e stoffa. Insomma, niente a che vedere coi presepi napoletani tradizionali, ma è una mostra piacevole da visitare. Ci sono anche alcune piccole sculture in legno, e un intero presepe di terracotta in stile peruviano sistemato in un condominio di nicchiette dalle quali si affacciano minuscoli, deliziosi personaggi.

Tra i tanti che vediamo, ne scelgo uno a mio preferito. Non è molto grande e non ha nulla di speciale rispetto agli altri in effetti, ma rappresenta la Natività in un modo che vedo qui per la prima volta. Montagne e cielo al loro posto, pastori sparsi come d’ordinanza ma agitati e con lo sguardo rivolto in alto, una specie di inconsueta stalla scoperchiata al centro della scena, dove Maria è sola in piedi sui gradini di una scala e regge il capo finale di un drappo candido nel quale è avvolto Gesù Bambino, che viene calato dal cielo da Dio Padre per mezzo di un Angelo annunciante. Fa uno strano effetto quel piccolo Bambinello a mezz’aria tra cielo e terra, che porta luce e anche spavento tra gli uomini che assistono a quest’Evento straordinario. Non avevo mai visto una Natività rappresentata in questo modo, mi colpisce e mi piace questa visione così ingenua ed efficace.

Quando usciamo di nuovo fuori l’aria è scura e fredda, ma ci sono molte persone in giro a passeggio. Arriviamo di nuovo in centro, e qui troviamo un posto spettacolare che è proprio il pane giusto per i miei denti di fan dell’albero di Natale: il Christmas Shop, il negozio di palline di Natale più grande che abbiamo mai visto. Un negozio formato da diversi stanzoni collegati tra loro che spalancano le porte per una passeggiata nel paradiso degli amanti delle decorazioni natalizie. L’unico arredamento presente è costituito da tavoli, scafali e ceste stracolme di palline di ogni colore e dimensione, luccicanti, tonde, lunghe, a goccia, ad angelo, a campana, ad albero, di paglia, di vetro soffiato, di cartapesta, di metallo dorato… Ma soprattutto dominano incontrastate le tipiche uova decorate, vere uova di gallina svuotate e dipinte con soggetti natalizi nelle quali viene inserito un nastrino colorato per poterle appendere all’albero. Ci sono montagne di ceste di queste uova colorate, bellissime, tutte sistemate nei veri cartoni da una dozzina che si trovano al supermercato, e che fanno un effetto straordinario in una quantità così impressionante. Resto letteralmente incantata, vago per il negozio confusa e rapita come un’ape che si ritrovi ad un tratto in un immenso campo fiorito, mi pare di non avere abbastanza occhi per vedere tutto. Dopo un po’ cedo, e tiro fuori la mia fedele P100 per un aiuto che stavolta mi pare assolutamente necessario.

Alla fine scegliamo l’ovetto di Innsbruck con dipinto sopra il Goldenes Dachl per il nostro albero, ed usciamo soddisfatti. E affamati. Si è fatta una certa ora, così passeggiamo verso la Hofburg per cercare un posto nuovo dove cenare. Ieri sera, passando, avevamo intravisto un locale che pareva interessante, e lo ritroviamo con facilità dato che il centro è veramente piccolo. E’ lo Stiftskeller, un locale tradizionale che all’interno è ancora più piacevole di quanto già non sembrasse da fuori. L’edificio è di quelli storici, su più piani con balconata a vista, parteti decorate e arredi in legno e ferro in stile tradizionale, ci sono addirittura delle statue fissate alle pareti e grandi lampadari di metallo, che per l’occasione del Natale sono stati decorati con abete, fiocchi e luci, molto accogliente.

C’è molta gente ma il servizio è veloce, dividiamo anche qui un grande tavolo con una coppia tedesca di mezza età che si gusta dolci e bevande calde, mentre noi scegliamo una cena completa di zuppa e carne accompagnata da ottima birra, e alla fine ci concediamo anche un dolce al cioccolato.

Restiamo al caldo del locale per un po’ a chiacchierare, e ci riposiamo dopo tanti passi e tante belle emozioni da elaborare. Quando usciamo fa freddo ma non nevica, e arriviamo al nostro Sailer in pochi minuti. Già ci dispiace che domani dovremo ripartire.

I-birthday

Il mio dream-catcher ha colpito ancora.
Una sorpresa strabiliante, che non mi aspettavo e che mi ha lasciato senza parole.
Quando un desiderio diventa vero, ci metti un po’ per capire, per convincerti, per cominciare a pensare che quello che sognavi è lì davanti a te e non lo devi più sognare perché ce l’hai. Questo tempo, tra il momento in cui il sogno prende corpo e quello in cui realizzi che è tutto vero, è uno dei più dolci che ci sia dato di assaporare.
Mi chiedo spesso se sono minimamente in grado di ricambiare tutta la gioia che mi viene donata quotidianamente. Posso davvero riuscirci? Non lo so.
Ricambio con tutto l’amore di cui sono capace. Spero valga.
Grazie, per sempre. Vale la pena invecchiare, se deve essere così.