Sveglia alla solita ora sotto le falde del Benbulben, straordinaria visione anche nel cielo grigio di inizio mattina. Anche quest’ultima notte sulla costa ovest è scivolata via nel silenzio più totale, ci chiediamo se sarà lo stesso per la prossima, che trascorreremo nel centro di Dublino. Vedremo. Raggiungiamo la sala della colazione all’altro lato della grande casa, oltre il salottino col pianoforte, e ci ritroviamo in una sala da pranzo non grandissima ma con una finestra che dà sul giardino , arredata con bei mobili antichi. C’è un tavolo rotondo già occupato da un gruppo di tedeschi, e un altro tavolo rettangolare apparecchiato per 6 dove ci sediamo da soli. Il tempo di ordinare la nostra Full Irish alla signora un po’ svanita di ieri sera ed arriva una coppia di signori di mezza età, che ci chiedono se possono sedersi ai posti ancora liberi. Of course. Mi piace condividere il tavolo con gente sconosciuta, specialmente se si tratta di stranieri, mi fa sentire parte di un viaggio più grande che stiamo facendo tutti insieme nonostante itinerari non sempre identici, mi sembra che questa gente che si incrocia per caso, più di chiunque altro, possa comprendere il senso e il gusto del nostro stesso viaggio. Dopo i primi minuti di riservatezza scatta inevitabilmente la voglia di condividere le nostre rispettive Irlande, una cosa che si impara molto in fretta qui, e cominciamo a parlare. Scopriamo che sono una coppia di americani del North Carolina in visita sull’isola per la terza volta, che ancora non si sono stancati di vedere tutta questa bellezza così diversa da quella che conoscono a casa loro. Questa volta si sono dedicati a Connemara, Sligo e Donegal, ma sono stati anche più a sud, al parco di Killarney, e nel Kerry, dove hanno preso il traghetto che porta alle Skellig Islands. Lì, oltre a una natura lussureggiante e spettacolare, hanno visto da vicino i famosi Puffins, i buffi uccelli atlantici bianchi e neri che somigliano un po’ ai pinguini e che non si spostano di un centimetro dal loro nido al passaggio dei turisti sui sentieri rocciosi, mettendo da parte la paura pur di proteggere le loro uova. Anche le Skellig Islands faranno certamente parte del nostro itinerario della prossima volta. Raccontiamo agli americani quello che abbiamo visto e quello che ci ha colpiti di più, e siamo tutti d’accordo sul considerare la gente d’Irlanda come la cosa più bella che ti può capitare di incontrare in questo paese. Anche loro hanno avuto esperienze ottime dal contatto con le persone del posto, e sono rimasti molto colpiti da un episodio che ci raccontano. Loro sono “Hikers”, escursionisti, e amano fare grandi camminate, così erano saliti lungo i sentieri di una montagna e passeggiavano da ore in mezzo ad un bosco con una piccola cartina per orientarsi. Ma ad un certo punto si sono resi conto che non riuscivano più a trovare i punti di riferimento indicati e non erano in grado di tornare indietro, si erano praticamente persi in quel luogo sperduto e stava anche per piovere. Una Jeep è comparsa sul sentiero dopo un po’, a bordo c’erano due fratelli che stavano andando a pesca in un lago lì vicino. Loro ne hanno subito approfittato per fermarli e chiedere qualche indicazione per poter trovare la via per uscire dal bosco, e i due hanno fatto più che rispondere. Li hanno fatti salire in auto e li hanno riaccompagnati direttamente fino giù al paese, lasciando perdere la loro sessione di pesca. Un gesto che non molti avrebbero fatto, e che di certo non è consueto in molti altri paesi. Mentre ci raccontano questo fatto anche la signora della fattoria che sta portando altro caffè ascolta divertita, e sorride contenta dei complimenti e della buona impressione che gli irlandesi fanno sui turisti, anche se ha l’aria di pensare che quei due in auto non hanno fatto niente di speciale o di diverso da quanto chiunque altro avrebbe fatto. Sì, in Irlanda… I due americani ci chiedono molte cose anche dell’Italia, delle città più belle da vedere e di cosa ci può essere da visitare al di là del classico giro delle città d’arte, e visto che sono amanti delle passeggiate segnaliamo un paio di luoghi secondo noi da non perdere per chi ama questo tipo di vacanze, le Dolomiti e le Cinque Terre. Ma abbiamo l’impressione che non conoscano l’Italia troppo bene, se si esclude il fatto che sanno che il traffico è pazzesco e gli italiani guidano in modo folle! Non hanno idea che Firenze e Pisa e Siena sono tutte nella stessa regione e che per andare da Firenze a Roma, a Napoli o a Venezia ci vogliano delle ore di viaggio… ma conoscono Capri per sentito dire e la vorrebbero visitare. Hanno però nei confronti dell’Italia la stessa remora comune a molti altri turisti, la lingua. Non parlano affatto italiano – lei ha studiato latino in gioventù e chiede se possa servire… ma la dobbiamo deludere purtroppo. Non capiscono la nostra lingua e non sono sicuri di trovare sempre qualcuno che parli inglese per farsi aiutare o per avere informazioni e indicazioni, e su questo dobbiamo confermare i loro timori. Pochissimi sono i gestori di pensioni o ristoranti capaci di parlare inglese, al di là delle grandi e costose catene alberghiere internazionali, anche nelle città più turistiche, e questa è una pecca che ogni volta è triste ribadire di fronte a degli stranieri. Servirebbe almeno un po’ di “basic language” per potersi arrangiare nelle situazioni più comuni, altrimenti molti continueranno a scoraggiarsi all’idea di visitare un paese nel quale non capiscono una parola e non sanno come fare a farsi comprendere. Beh comunque abbiamo sempre i gesti ! Gli italiani non saranno un popolo di poliglotti ma hanno grande fantasia e un sacco di risorse, da mangiare e da dormire riescono a offrirlo a tutti al di là di qualunque differenza linguistica, su questo li rassicuro. La signora ride e conferma, magari un giorno verranno davvero in visita in Italia. Alla fine ci salutiamo e torniamo a prendere le nostre cose, è già tempo di ripartire. Paghiamo, salutiamo la signora svanita che vive in quel posto magico fuori dal mondo e lasciamo il Benbulben salutando la costa ovest per l’ultima volta, muovendoci in direzione dell’interno. Niente più Oceano d’ora in poi, si torna verso Dublino. Percorriamo la N16 oltre Sligo e attraverso tutta la contea di Leitrim, dove incrociamo delle pecore che passeggiano tranquillamente lungo la strada asfaltata, in mezzo al nulla verdissimo di campi e colline morbide , e proseguiamo per la contea di Cavan, costeggiando tutto il confine con l’Irlanda del Nord, lungo la R206 e la R200 fino al paesino di Bawnboy. Questa tappa è colpa di internet, in realtà. Mesi addietro, cercando informazioni e siti che trattassero di orsi di lana o fatti a mano per i miei lavoretti a maglia, mi sono imbattuta in un sito particolarmente interessante, www.irishbears.com nel quale ho visto foto di Teddy Bear meravigliosi tutti realizzati artigianalmente. Quando ho controllato meglio i dettagli ho visto che la fabbrica di orsi era proprio in Irlanda, e per di più in una zona che avremmo attraversato rientrando verso Dublino. Meglio di un invito diretto! Così verso le 11,30 eccoci nel minuscolo paesino di Bawnboy, alla ricerca della fabbrica di orsi “Bear Essential”. Più che un paese si tratta delle solite 5 case lungo la via, più una scuola e un distributore, così non riusciamo a trovare indicazioni del luogo che cerchiamo. Ci fermiamo al negozietto di alimentari dietro alla pompa di benzina per chiedere informazioni e il proprietario comincia a spiegarci in che direzione andare, abbiamo già oltrepassato il posto, dobbiamo tornare indietro ed è un po’ complicato da spiegare. Allora un ragazzo che ha appena fatto il pieno parla con l’omino e poi ci fa un cenno e ci indica di seguire la sua auto con la nostra, che ci accompagna lui fino lì. Noi ringraziamo moltissimo un po’ sorpresi, non ci abitueremo mai alla gentilezza naturale e spontanea di queste persone. Lo seguiamo per un paio di chilometri su una stradina laterale e alla fine arriviamo in un posto appartato con un grande giardino, che si rivela un luogo davvero fantastico. Due grandi case bianche precedono una specie di laboratorio aperto al pubblico, il Silver Bear Centre , dove gruppi di visitatori, specialmente bambini, vengono accolti in giornate dedicate all’arte di imparare a cucirsi il proprio animale di peluche. Appena entriamo siamo accolti da due grossi orsi a guardia della porta, uno bruno e uno polare, che danno il loro benvenuto agli ospiti. Un gruppo di bimbi sta seguendo un corso con alcune signore che insegnano loro le tecniche per cucire gli animali, una zona con dei divanetti è subito a sinistra dell’ingresso, e lì accanto una piccola vetrinetta raccoglie alcuni dei pezzi più bella della collezione di orsi fatti a mano della Bear Essentials. Orsi tradizionali, color miele, scuri, a pelo lungo, a pelo raso, vestiti da sera, con il fiocco al collo, in abiti ottocenteschi o da indiani, c’è persino l’orso Papa creato in occasione dell’elezione di Benedetto XVI e a lui dedicato, uno dei più preziosi di tutto il gruppo. Dopo un giro veloce all’interno non disturbiamo oltre il gruppo al lavoro ed usciamo, attraversiamo il giardinetto ed entriamo nel piccolo negozietto che è la nostra vera meta. Quella che oltrepassiamo è una di quelle piccole porte magiche che capita a volte di aprire, e che portano in un attimo in un altro mondo. Il locale è abbastanza piccolo, ed è stracolmo di scaffali e mobili a vetrina completamente invasi da pupazzi di peluche. Orsi di tutte le misure e di tutti i colori, vestiti o solo infiocchettati, si affacciano da ogni angolo, da ogni mensola o cesto o poltrona riempiendo tutto lo spazio disponibile. Ma non sono solo orsi in realtà. Ci sono coniglietti, gatti, cani, procioni, pecore, cavalli, leoni, elefanti, topini… c’è di tutto, persino un cammello, ed è tutto bellissimo. Centinaia di occhiettini lucidi ci fissano mentre ci spostiamo a fatica nel piccolo locale invaso di animali di ogni dimensione e colore, l’impressione è quella di essere in una specie di orfanotrofio degli orsacchiotti dove ognuno ti fissa speranzoso con lo sguardo implorante di uno che ti chiede di portarlo a casa con te. Per fortuna nel negozietto c’è già una mamma con due bambine che sta tenendo occupata la commessa, così posso prendermi tutto il tempo che voglio per guardarmi intorno e soffermarmi su ognuno di loro quanto mi pare. Non sarà affatto facile sceglierne solo uno… perché uno almeno lo porteremo via con noi, questo è certo. Ci sono orsetti di varie marche, alcune già viste nei normali negozi di giocattoli altre mai viste prima, tutti di fabbriche specializzate in questo tipo di produzione. In uno dei mobili più grandi, tra mensole decorate di pizzo e vetrinette socchiuse, vediamo parte della collezione originale prodotta qui alla Bear Essentials, che non si trovano altrove se non sul loro sito online. Sono tutti adorabili, da piccoli a medi come dimensioni, con maglioncini e fiocchi bellissimi, e musi così espressivi che sembra ci stiano davvero osservando. Purtroppo, come immaginavamo, questi sono gli orsi più costosi di tutto il negozio, sono tutti fatti a mano con lane mohair e design tradizionali e hanno un vero valore di pezzi da collezione. I Teddy Bear tradizionali e artigianali come questi hanno un mercato molto vivace in tutto il mondo e in particolare nei paesi anglosassoni, e poter trovare pezzi unici fatti a mano o pezzi del secolo scorso in buono stato è davvero raro, un sogno per ogni collezionista. Purtroppo noi non siamo collezionisti ma solo amanti dei Teddies, quindi ci accontenteremo di dare una casa a uno di quelli più semplici, e anche se non sarà di puro mohair non avrà per questo meno valore ai nostri occhi. Chiacchieriamo un po’ con la commessa dopo che le bambine se ne vanno con i loro acquisti, e alla fine – non senza difficoltà – scegliamo un bell’orso color miele con un fiocco marrone al collo e l’espressione dolcissima, è di peluche a pelo lunghetto ma ha orecchie e muso di soffice mohair e le zampe ricamate. Si tratta del “Charlie Bear 2009” della omonima ditta inglese, con tanto di bollino di garanzia e certificato, e la signora ce lo mette nella sua bella borsina di stoffa dipinta col marchio di fabbrica per portarlo via. Perché gli orsi non si incartano, ovvio. Un prezzo giusto per un pezzo da collezione moderno. Luca mi regala anche una piccola pecorella pelosa di quelle bianche col muso e le zampe nere, che in realtà è una spilletta da appuntare sul maglione o sulla giacca, in ricordo di quella che abbiamo salvato ieri mattina al Marconi Site. Direi che non potrei essere più soddisfatta della nostra sosta in questa fabbrica dei Teddy Bear sulla quale avevo tanto fantasticato quando navigavo sul sito online. All’uscita scattiamo ancora qualche foto in quel giardino così bello decorato da animaletti vari, e riprendiamo la nostra Punto in direzione est. Prendiamo la N87 e poi la N3 fino a Cavan e poi a Kells, dove svoltiamo per proseguire fino alla R154 che porta a Trim. Il cielo è grigio ma non piove e non fa freddo, i chilometri scorrono via veloci e senza problemi di traffico, e arriviamo alla piccola cittadina verso le due. Visto che il castello di Trim è uno dei più importanti d’Irlanda e abbiamo la fortuna che è di strada, lo abbiamo messo come seconda tappa di oggi, per spezzare il lungo trasferimento e approfittarne per goderci un’altra delle perle di questa terra. Il castello è praticamente in centro nel piccolo borgo antico di Trim, sulle rive del fiume Boyne, lo si vede dalla strada senza difficoltà e appare spettacolare fin dal primo momento in cui lo scorgiamo. Si tratta del più grande castello d’Irlanda di origine anglo-normanna, costruito nel XI secolo e poi ampliato e fortificato alla fine del 1100 da Hugh de Lacy, che era a capo della libera contea di Meath. E’ un edificio davvero impressionante, con potenti bastioni e torri alte e quasi intatte, spigoloso e solido come una roccaforte inaccessibile. Tutto intorno si innalza ancora una cortina di mura lunga circa 500 metri la cui linea segue una forma di D, molto spessa e scandita da torri di avvistamento quadrangolari sul lato ovest e a base rotonda sul lato est, e nella quale si aprono due ingressi principali. Dal lato dell’entrata di Trim si trova la biglietteria, ma purtroppo possiamo scegliere solo il giro esterno libero (2,00 € a testa) perché la visita guidata inizia tra quasi un’ora e dura 45 minuti, e rischieremmo di arrivare troppo tardi a Dublino. Passeggiamo nel grande prato sul quale il castello è poggiato andando dal maniero alle mura, dal fiume al Donjon possente, su un’erba così verde e soffice da sembrare finta. I visitatori sono pochissimi, le nuvole sono grigie e alte, il silenzio regna dappertutto qui, dove le urla di battaglia e gli scontri di cavalieri hanno segnato il passare dei secoli. Attraversiamo il bel ponte di legno costruito di recente, che scavalca il fiume Boyne e raggiungiamo una torre altissima e diroccata che dista poche decine di metri dal castello, dalla quale si ha una panoramica sull’insieme della cinta muraria e degli edifici interni davvero spettacolare. Anche la torre diroccata è molto bella, si tratta della torre campanaria di un’abbazia che un tempo sorgeva qui, e sul suo lato posteriore si riesce a vedere perfettamente la struttura interna a più piani, con le finestre che danno sul castello, le mura spesse e la bifora all’ultimo piano ancora in perfette condizioni. Sembra di stare sul set di un film, in cui la facciata è perfetta e poi giri dietro e scopri che è tutto lì, il resto non c’è, e puoi vedere l’altro lato della maschera, solo che questo non è un film, qui è tutto vero, e le scale di questa torre sono state salite per centinaia di anni da frati e religiosi che facevano suonare le campane per scandire le ore e gli eventi quotidiani della comunità di Trim. In effetti il cinema c’entra qualcosa davvero qui, poiché è in questo imponente castello normanno che Mel Gibson ha ambientato alcune delle scene più importanti del suo famosissimo film Braveheart. Una ragione in più per ricordare questo come uno dei tanti posti speciali che abbiamo visitato nella terra di Erin. Ripartiamo in direzione Dublino attraversando di nuovo il piccolo centro, percorriamo la N154 fino alla N3 e in un paio d’ore siamo di nuovo sulla famosa periferica M50 che racchiude tutte le vie della capitale. L’impatto è improvviso e decisamente traumatico. Dopo centinaia di chilometri percorsi nel verde, su piccole strade panoramiche lungo le quali abbiamo incrociato sì e no 10 auto al giorno, ci ritroviamo di colpo in mezzo ad un traffico incredibile, neppure fosse Londra nell’ora di punta. La larga strada è completamente invasa da autovetture, camion, furgoni, moto, pullman… la coda è lunghissima e praticamente bloccata, il rumore fastidioso e continuo, l’aria è così irrespirabile che dobbiamo subito chiudere i finestrini per non lasciarla entrare dentro. Importanti lavori per l’ampliamento della sede stradale sono in corso su un lungo tratto della periferica nel punto dove immette verso il centro città, con grossi mezzi scavatori e gru all’opera, piccoli semafori temporanei sono stati messi a regolare un flusso di veicoli incredibile e disorganizzato, con il risultato di creare più confusione di quella che ci sarebbe già normalmente a quest’ora critica. Ci sono semafori persino all’interno delle grosse rotonde che regolano l’entrata nelle varie zone della capitale, il che, unito al fatto che stiamo viaggiando con la guida a sinistra in mezzo a quella marea di auto, ci confonde ancora di più. Ma la cosa che più ci disorienta e ci disturba non è il traffico in effetti, quanto il ritrovarci in quel caos sovraffollato e rumoroso di colpo, dopo aver vissuto una settimana nella più completa tranquillità, in mezzo a panorami splendidi e paesini abitati da poche decine di persone per volta. Ci mettiamo più di un’ora a superare il tratto di lavori più ingolfato ed entrare in città, siamo un po’ sgomenti ma ci facciamo guidare dal navigatore fino alla via dove si trova la Celtic Lodge Guesthouse nella quale abbiamo la stanza prenotata per due notti. Girare tra le vie affollate e le rotonde a sinistra mi sembra assai complicato, ma vedo che Luca se la cava perfettamente e sto attenta solo a dargli le indicazioni precise suggeritemi da Autoroute. Arriviamo al piccolo hotel che si trova in Talbot Street, a pochi metri da O’Connell Street, con facilità. Ci presentiamo alla piccola Reception, chiediamo di poter lasciare i bagagli in stanza prima di andare a riconsegnare l’auto all’autonoleggio, e sbrighiamo la pratica con facilità aiutati da una signorina dai tratti cinesi molto gentile. La stanza è al secondo piano della Guesthouse, è piuttosto piccola e decisamente spartana, ma il bagno è ampio e pulito. La finestra in compenso dà su uno stretto cortile interno dove grandi impalcature coprono qualunque tipo di vista possibile, ma pazienza, non è dalla finestra che vogliamo vedere Dublino. Mettiamo giù le nostre cose, riconsegniamo la chiave e ripartiamo diretti all’ufficio Herz. Nonostante sul foglio di noleggio ci sia scritto che l’ufficio è aperto 24 ore al giorno, quando arriviamo lì sembra già tutto chiuso e non c’è neppure un campanello al quale suonare. Dopo un po’ di tempo e vari tentativi di richiamare l’attenzione di eventuali impiegati all’interno dell’edificio, finalmente un signore che sta per andare via ci vede e ci fa entrare dal cancello laterale. Arriva anche un meccanico che subito nota la nostra ruota di scorta al posto di quella regolare, ma in breve riusciamo a spiegare tutto e a risolvere anche questa pratica. La foratura ci costa la sostituzione di tutta la ruota invece del solo copertone perché il cerchio si è danneggiato, ma alla fine l’importante è che tutto sia andato bene dopo quel piccolo intoppo e che siamo riusciti ad arrivare in fondo al nostro giro senza ulteriori problemi. Lasciamo la nostra “Punto Grande” al meccanico e la salutiamo con un po’ di tristezza, in fondo ci siamo trovati benissimo con lei e non ci ha mai traditi, anche la foratura non è stata certo colpa sua. L’impiegato che si occupa della nostra pratica ci chiede un po’ come sono andate le cose e dove siamo stati, e fa una faccia stupita di fronte al racconto veloce delle nostre tappe sull’isola – abbiamo fatto più di 1750 km riuscendo a vedere più posti di quanti ne abbia mai visti lui che lì ci vive! Alla fine lo salutiamo e, seguendo il suo consigli, ci incamminiamo verso il centro a piedi senza cercare un autobus. Ce la possiamo fare benissimo, e ne approfittiamo per guardarci un po’ intorno. Superiamo diversi cottage bassi e una piccola chiesa gotica, e arriviamo direttamente a una delle entrate di St. Steven’s Green. Avevo letto che si tratta di un parco bellissimo, ma non mi aspettavo di trovarmi davanti un luogo così spettacolare nel pieno centro di una capitale. Più che un parco è un vero e proprio giardino strabordante di fiori, aiuole, fontane, panchine, alberi alti e frondosi che riparano con la loro ombra vialetti perfetti e pulitissimi. Ci sono due stagni con anatre e paperi, e soprattutto tanta gente intorno, che passeggia, legge, parla, si riposa, mangia, bambini che giocano e si divertono al sicuro dal traffico, che sembra così lontano che non se ne sente più neppure il rumore in sottofondo. Un posto fantastico, immenso, e molto curato in tutte le sue parti. Ci sono anche molte statue in giro, negli angoli più importanti, che ritraggono alcuni dei personaggi più conosciuti della città sia del mondo artistico che politico. Facciamo un giro piacevolissimo tra i vialetti, alla ricerca del busto di Joyce ovviamente, poi usciamo e andiamo verso il centro. Gli edifici intorno a noi sono di un’eleganza severa, ma belli, e una cosa che mi sorprende subito sono le dimensioni di tutto quello che abbiamo intorno. Questa è una capitale, conta più di mezzo milione di abitanti, eppure il centro è visitabile a piedi, Luca me lo conferma, non ci sono grattacieli enormi o palazzi altissimi ma grossi edifici di mattoni e pietra, eleganti e sobri, che rientrano in quella che si può definire una dimensione umana vivibile. Nulla che ti schiaccia o ti fa sentire minuscolo, come alcuni palazzi parigini ultramoderni o certi parallelepipedi di cristallo della City londinese, ma finestre, file di finestre come facce che ti guardano, vetrine, larghi viali alberati, trafficati certo, che però non danno l’impressione di essere un labirinto in cui smarrirsi, ma semmai vie per le quali passeggiare. Su un marciapiede troviamo perfino una panchina di bronzo sulla quale si trova la statua di un uomo seduto che pare chiacchierare amabilmente con un altro che sta in piedi lì accanto a lui, come succede il pomeriggio nei piccoli paesi, dove la gente si incontra e scambia quattro chiacchiere sulla giornata appena trascorsa prima di andare a cena. Una scena che con un niente raffigura con grande esattezza lo spirito tipico del modo di vivere irlandese tradizionale. Camminiamo fino all’ingresso del Trinity College ed entriamo nel piccolo negozietto interno per acquistare dei francobolli. Prendiamo nota degli orari per la visita guidata che faremo domani e poi torniamo di nuovo verso Temple Bar, passando davanti all’imponente colonnato della sede della Banca d’Irlanda ospitata dall’edificio che in origine fu la prima sede del parlamento. La zona di Temple Bar è già molto movimentata, pub e ristoranti si stanno riempiendo per la cena, e la musica già comincia a risuonare agli angoli della strada. Qui si trovano gli edifici più caratteristici della città che mi piacciono subito più degli altri, con le scritte dipinte, le bandierine sulle facciate e l’aria di stare di lì da tanto di quel tempo da averne viste ormai di tutti i colori. Da queste parti si trovava l’hotel di Luca quando venne qui per due settimane di corso intensivo di inglese molti anni fa, e ora è strano e bello ricercare con lui quei luoghi e quei locali che conosceva e dei quali mi ha parlato tante volte, cercare di individuarli, scoprire se ci sono ancora, se sono gli stessi o il tempo li ha cambiati, se lui è lo stesso o è cambiato da allora, quando certo non immaginava mai che a distanza di molti anni avrebbe passeggiato di nuovo per quelle vie mano nella mano con sua moglie. Entriamo al Farringtons, un pub che lui riconosce come un luogo dove aveva cenato diverse volte al tempo del suo corso, e ordiamo da mangiare. E’ abbastanza presto ma siamo affamati, e poi vogliamo uscire di nuovo per passeggiare ancora prima di rientrate all’hotel. Dalla zona dove si trova il nostro tavolo vediamo un grande schermo tv appeso in alto alla parete vicino al bancone, stanno trasmettendo una partita di Hurling e in pochi minuti siamo già appassionati. L’Hurling è uno sport celtico giocato solo in Irlanda ed è assolutamente spettacolare, soprattutto grazie alla velocità incredibile alla quale si gioca. Si tratta di una specie di mix tra il calcio e l’hockey nel quale due squadre di 15 giocatori si affrontano cercando di mandare una piccola palla in goal usando una larga mazza di legno, detta appunto hurling, con la quale la sollevano da terra e la lanciano a velocità folle verso la porta avversaria. Le azioni sono rapidissime, l’abilità tecnica si mescola alla forza fisica creando un effetto spettacolare. Seguiamo il match mentre ceniamo, e quando alla fine usciamo di nuovo in strada scopriamo che l’animazione è ancora aumentata. Musicisti di strada e cantanti si esibiscono a ogni angolo di fronte a gruppi di spettatori di svariate nazionalità, mentre da diversi pub cominciano a uscire le note di canzoni tradizionali accompagnate da chitarre e violini. La cosa che appare subito evidente, specialmente in questa zona, è l’età media dei ragazzi in giro, decisamente giovani. Dopo una camminata e qualche canzone torniamo verso il Trinity, e ci rendiamo conto che c’è un’atmosfera strana in giro, si percepisce come una certa eccitazione, un senso di festa nell’aria. Tutti, ma in particolare i moltissimi ragazzi e ragazze che incrociamo per strada, sono sorridenti, agitati, elegantissimi. Abiti lunghi, spalle nude, spacchi, tacchi alti, giacche scure. Parlano concitati, ridono, salgono e scendono dalle auto, mentre cellulari impazienti squillano in continuazione, sembra quasi di essere a Capodanno. E’ la gioventù dublinese che si appresta a festeggiare il venerdì sera, tra pub, locali e luoghi dove si fa musica. In una città dove la normalità è di casa il venerdì può essere un pretesto più che sufficiente per mettere qualcosa di speciale nella propria settimana. Proseguiamo nella sera illuminata fino a Marrion Square, dove troviamo la casa di Oscar Wilde e della sua famiglia. Oggi l’edificio d’angolo ospita un collegio e non è visitabile liberamente, e in ogni caso è tutto chiuso a quest’ora, ma l’emozione di stare su quelle scale, di fronte a quella porta, è comunque bella. Ho già visto la sua casa a Londra, e l’Hotel d’Alsace a Parigi dove è morto, ma la sua casa irlandese ha un significato speciale, venire qui è come arrivare alla radice di tutto, alle origini di quella vita straordinaria dove tutto è cominciato. In questa casa viveva con il padre, famosissimo medico e oculista personale della Regina Vittoria, qui la madre Francesca teneva il suo ambito salotto letterario, e da qui Oscar partiva per recarsi a lezione nel vicino Trinity College. Non è solo una casa con una targa sul muro questa, non per me . La sera è scesa lentamente sulla città così ritorniamo verso l’albergo, mentre la notte di festa sembra solo all’inizio. Proseguiamo verso il centro e attraversiamo il ponte sulla Liffey, che scorre morbida e liscia come un lucido nastro d’argento in mezzo alla città illuminata. Al centro di O’Connell Street vediamo finalmente anche il volto più nuovo e moderno di Dublino rappresentato dalla Spire, l’altissimo monumento in acciaio eretto nel 2003 , oltre 120 metri di altezza su un diametro di 3 metri di base che vanno restringendosi mano a mano che si sale, fino ai pochi centimetri della punta illuminata. La parte inferiore della base è in metallo lucido e riflette i colori e le luci della strada, mentre a mano a mano che sale si fa più satinata e misteriosa, indefinita, infinita. E’ bellissima, non mi aspettavo che mi facesse quest’effetto e invece mi piace moltissimo, essenziale e magica, indecifrabile e potente allo stesso tempo. Attraversiamo la strada e siamo finalmente nella via dell’hotel, e all’inizio della strada una nuova sorpresa ci fa fermare ancora una volta. Sull’angolo sinistro del largo marciapiede troviamo l’ennesima statua di James Joyce, a figura intera stavolta, molto somigliante e dall’atteggiamento tipico, cappello occhiali e bastone, come fosse pronto per fare un giro in città. Mentre lui prosegue il suo giro noi ce ne torniamo finalmente in albergo, stanchi e un po’ storditi dal cambiamento di ambiente. Domani faremo una visita più approfondita di questa capitale speciale, che dopo solo poche ore di passeggiata già ci ha conquistati.
www.celticlodge.ie (75,00 € a notte senza colazione voto 3/5)
info@celticlodge.it
Sempre appassionante la lettura di questo “diario di bordo”.
Devo dire però che in quanto a inglese carente non è che i Francesi, gli Spagnoli o i Tedeschi siano molto meglio degli Italiani…
Ma avevate una valigia vuota alla partenza? Con tutti i souvenir che avete comprato!
Un abbraccio
Grazie per aver letto anche questo post! :o)
In realtà la signora americana era dispiaciuta di non conoscere – lei – almeno un pò di basic italian, per poter venire qua senza problemi…. non pretendeva di trovare italiani che parlassero per forza inglese.
Invece io ero un pò imbarazzata a dover confermare che qua o parli italiano o ti restano solo i gesti… ;o)
In effetti le nostre valige all’andata non erano così piene…. il che è inevitabile, quando si vola con Ryanair…!
Dei veri souvenir racconterò nel prossimo post…! ;o)
Grazie di passare di qua spesso!
Un abbraccioa voi!
Xis