Quest’ultima mattina dublinese si presenta grigia, ma non fredda. Prepariamo tutte le nostre cose e depositiamo i bagagli nella stanza dell’hotel adibita a questo servizio prima di uscire per la nostra passeggiata in cerca della colazione. E’ presto, è tutto chiuso e c’è un grande silenzio in giro, cosa che ci sorprende ancora una volta in una capitale così importante. Passeggiamo tra le strade ormai quasi familiari, pioviccica appena e l’atmosfera è incredibilmente romantica. Camminando verso O’Connell Bridge scopriamo a breve distanza una dall’altra un paio di mattonelle di ottone fissate sul marciapiede che ricordano due delle tappe della giornata di Leopold Bloom in Ulysses, con tanto di silhouette in rilievo e citazione dall’episodio del libro. Sono due delle tappe che i fan di Joyce ripercorrono il giorno di Bloomsday, quando ritracciano in una giornata lo stesso percorso che lui fa nel romanzo, fermandosi proprio in quel luogo preciso a leggere quel particolare brano della storia. Non sapevo che avessero addirittura sistemato queste mattonelle commemorative lungo il percorso, e sono davvero molto contenta di averne scovate alcune, è un po’ come aver partecipato al Bloomsday di quest’anno, anche se con alcuni giorni di ritardo. Un altro regalo che Dublino mi fa spontaneamente e generosamente. Continuiamo fino a Grafton Street, la via dei negozi, tutto è tranquillo anche qui e solo una bancarella di fiori colorati già aperta sembra confermare che un altro giorno è ormai cominciato. In una traversa scopriamo l’ingresso del Gaiety Theatre , il teatro più antico della città, con una bellissima pensilina esterna in ferro battuto decorata da maschere in ottone e l’aria di un luogo speciale. Peccato che sia troppo presto e non ci sia possibilità di fare un giro all’interno, deve essere molto interessante. All’esterno troviamo comunque qualcosa che ci regala un sorriso. Sul marciapiede sono state inserite alcune placche in bronzo con le impronte di artisti importanti che si sono esibiti qui, e una di queste porta impresso il calco delle mitiche mani di Luciano Pavarotti. Grandi, paffute, allegre. Fanno venire nostalgia solo a toccarle. Torniamo indietro piano piano e alla fine scegliamo un bel caffè centrale per la nostra ultima colazione, scoprendo che all’interno è già pieno di persone. Il menu è ricco e il bancone dei dolciumi è stracolmo di brioche e torte di mille tipi, ma dopo un momento di esitazione lasciamo perdere e restiamo fedeli ancora una volta alla nostra Full Irish. E’ l’ultima occasione che abbiamo per gustarla, e per sentirci veri irlandesi per un giorno ancora. Il locale è grande e bello, con arredi liberty e luci discrete, e il cibo è ottimo. Dopo colazione usciamo di nuovo per strada, non piove più, e decidiamo di provare a raggiungere la più vicina stazione ferroviaria per informarci sugli orari per raggiungere Sandycove. Sappiamo che dobbiamo tenere ben presente l’orario della navetta per l’aeroporto, ma Luca ha insistito per andarci almeno ad informare perché sa che questo è un altro dei miei sogni da tanto tempo, e dato che siamo qui vuole provare a realizzarlo. Il biglietto del DART costa 8,50€ a testa A/R, parte di lì a pochi minuti e in circa mezzora arriviamo a questa piccola località di mare a circa 8 km a sud di Dublino. Una volta scesi dal treno non abbiamo bisogno di chiedere nulla, fuori dalla stazione è appesa una piantina dettagliata della zona con il percorso tracciato col pennarello rosso lungo la via che va da qui alla “Joyce Tower”. Ci incamminiamo sul marciapiede deserto, l’aria è grigia ma non piove, e tutto mi pare bellissimo. Superiamo la chiesa di St. Joseph, piena per la messa domenicale, e più avanti notiamo un negozio di abbigliamento che ha in vetrina due manichini che indossano eleganti abiti in stile primi del novecento. Deliziose tracce di un Bloomsday recente, ovviamente. Arriviamo sul lungomare, che è davvero lungo e spettacolare, e poco dopo la intravediamo chiaramente, rotonda e tozza là in fondo, in mezzo al verde di un ciuffo di alberi, solitaria e inconfondibile. La Martello Tower. Quella di Bloom e Stephen Dedalus, quella del primo capitolo di Ulysses, dove tutto comincia, e dove Joyce ha soggiornato davvero per un breve periodo nel 1904, ospite di alcuni scrittori suoi amici. La guardo da lontano e non mi sembra vero. Sono proprio qui. Il cielo grigio crea uno sfondo monocromatico da vecchia foto in bianco e nero alla linea curva della baia di Dublino, l’aria è umida, il vento alto ammassa piano altre nubi. Eppure, incredibilmente, quando arriviamo al limite degli scogli vicino alla torre vediamo un gruppetto di adulti e ragazzini in costume che stanno facendo il bagno in una piccola caletta rocciosa. Sarà anche giugno, ma ci saranno sì e no 13 gradi oggi, e il sole sembra un concetto decisamente astratto in questo momento. Potere dell’abitudine… Mi stringo nella mia giacca, incredula alla vista di tanta coraggiosa follia balneare, mentre Luca si diverte a farmi una foto così infreddolita con sullo sfondo quegli eroici bagnanti che continuano a fare tuffi. Distolgo lo sguardo da loro per non congelarmi del tutto, concentrando la mia attenzione sulla parete rotonda che si avvicina davanti a noi. La strada finisce proprio di fronte all’ingresso della torretta fortificata, a pochi metri dal mare immobile. La posizione è strategica in effetti, e soprattutto fantastica. Pare che queste torrette, costruite in quantità nell’800 in Irlanda e nel Regno Unito per difendersi da un eventuale tentativo di invasione da parte delle armate napoleoniche che non ci fu mai, siano state spesso utilizzate nel 900 come vere abitazioni in affitto, approfittando del fatto che all’interno sono ampie e ben organizzate, sicure, e solitamente posizionate in luoghi di particolare attrattiva dal punto di vista panoramico oltre che storico. Somigliano a fari bassi e grassottelli, senza la lanterna, ma con su la corazza da piccolo soldato coraggioso. La torre da vicino è più grande di quanto pensassi, non è alta ma ha una base ampia, e sulla parete dal lato della strada troviamo l’ingresso del piccolo museo nel quale è stata trasformata dagli ammiratori di Joyce. All’interno sono conservati oggetti appartenuti al grande scrittore, prime edizioni rare, lettere autografe, fotografie, curiosità. Purtroppo la saracinesca è chiusa, oggi è domenica e la time table dice che il Museo (7,50€ a testa) aprirà solo nel pomeriggio alle 14,00. Non potremo restare, perché tra la visita della torre e il viaggio di ritorno a Dublino rischieremmo di non arrivare in tempo alla navetta delle 5 per l’aeroporto, ma non sono troppo delusa, qualunque cosa possa essere contenuta nella Martello Tower non potrà mai emozionarmi più di quello che c’è all’esterno. Qui fuori sono ambientate le famose scene che hanno reso mitici questi luoghi, lo Strand della passeggiata di Stephen Dedalus che finge di essere cieco, la baia lì vicina dove Buck Mulligan nuota, la spiaggia dove incontriamo Bloom la prima volta e dalla quale, chiunque se la senta di provarci, si imbarca con lui nella sua incredibile avventura di un giorno, di una vita, di un’epoca. Mi sembra di camminare su quel che resta del set di un film, che in realtà non è altro che il mio personalissimo film, fatto delle immagini che la mia mente vedeva prendere forma mentre leggevo quelle pagine. E mi pare di risentirne i profumi, i suoni, l’aria, intanto che l’orizzonte grigio del mare del nord si stende davanti a noi come un fondale di scena perfetto. Sono contenta che siamo riusciti a venire fin qui, anche se non possiamo entrare nella torre non fa nulla, questa è l’emozione che cercavo, ora lo capisco esattamente, è per queste sensazioni che sono arrivata fin qui, per vedere se le avrei provate davvero o se sarei rimasta delusa, e invece no. Qui ho trovato quello che mi aspettavo di trovare in questo luogo, anche l’ultima prova è stata brillantemente superata da questa terra magica, posso raccogliere tutto con gli occhi e portarlo via con me sentendomi più che soddisfatta. Ripercorriamo il lungomare grigio e senza vento, e ci soffermiamo a leggere l’iscrizione sulla pietra posta accanto all’albero che è stato piantato qui nel 1983 in occasione del centenario della nascita dell’autore di Ulysses. Mi sembra bellissimo che un intero paese ricordi e celebri con tanta dedizione non un politico o un militare, ma un artista della letteratura, uno scrittore, un rivoluzionario delle parole. Uno che da questo paese se n’è andato e non c’è più tornato neppure da morto, e che invece qui pare essere dappertutto. Riprendiamo il treno e siamo di nuovo in città poco dopo l’ora di pranzo. Ora c’è molta gente in giro, i negozi sono aperti e c’è traffico per le strade, un bel movimento. Torniamo verso Temple Bar e capitiamo davanti a un incredibile negozio di articoli per la pesca che farebbe la felicità di mio fratello. La cosa più bella è l’insegna, dipinta sul muro di mattoni rossicci con pittura colorata come si usava un tempo nei piccoli paesi inglesi, una meraviglia, e non solo per gli appassionati di carpe e lucci. Passiamo un’ultima volta a salutare il Trinity, poi entriamo in un grande negozio di Carrolls’ e acquistiamo dei pensierini da portare a casa, tra i quali alcuni segnalibri con ciondoli celtici e un paio di pupazzetti per i nostri nipotini. Quindi torniamo verso O’Connell Street ed entriamo da Eason, una delle librerie più grandi della città. Facciamo un giro nei vari reparti, e alla fine saliamo al piano superiore e pranziamo alla caffetteria self service, con zuppa calda e sandwich leggeri. Un cameriere molto gentile ci chiede di dove siamo e cosa abbiamo visto nella nostra vacanza, ed è piacevole condividere ancora una volta la nostra esperienza irlandese con qualcuno del posto, è probabilmente l’ultima volta che abbiamo l’occasione di farlo e non ci sottraiamo affatto a questa consuetudine che ci è tanto piaciuta qui. Gli raccontiamo delle cose viste e delle città visitate, e dell’anniversario di matrimonio naturalmente, e di quanto ci siano piaciuti gli irlandesi, e lui pare molto contento. Restiamo un po’ seduti a riposarci e chiacchierare tranquillamente, facendo finta che non stiamo per prendere un aereo per lasciare questa città bellissima. Invece alla fine dobbiamo uscire dal nostro rifugio, e tornare verso il Celtic Lodge, dove il bus navetta (gratuito, incluso nel costo della stanza) ci accompagna di nuovo all’aeroporto. Facciamo subito il check in e ci sistemiamo nella sala d’aspetto in attesa del nostro volo delle 20:05, che pare sarà affollato da molti altri viaggiatori che rientrano su Pisa. Parliamo per un po’ con una coppia di fiorentini, hanno fatto un giro con l’auto e sono stati anche in Irlanda del Nord, ma non hanno amato affatto Dublino, che definiscono noiosa. Non possiamo essere d’accordo su questo giudizio, neppure un po’. In realtà noi non vediamo l’ora di tornarci, a Dublino, e restarci un po’ più di tempo per poter visitare come merita questa capitale vivace e vivibile allo stesso tempo. Ci siamo rimasti troppo poco, decisamente, ma per una volta almeno abbiamo la sensazione che i giorni non siano volati via troppo in fretta. Sarà che li abbiamo riempiti di cose ed emozioni più che potevamo, o che ci siamo trovati così bene in questa terra da esserci sentiti a casa fin da subito, ma di fatto abbiamo l’impressione di essere qui da molto tempo, e questo rende ancora più difficile dover andare via. Ci mancherà l’Irlanda. Ci mancherà la sua gente semplice e accogliente, la sua genuinità, il suo cuore. Ci mancheranno i suoi panorami infiniti, le sue 40 sfumature di verde, le pietre, i laghi e le scogliere immense a picco sull’Oceano. E ci mancherà l’Oceano, quello vero, che si può incontrare solo qui. Ma probabilmente la cosa che ci mancherà di più sarà il cielo d’Irlanda, l’azzurro intenso dove corrono veloci nuvole bianche di luce e grigie di pioggia, soffiate dal vento che vola pazzo e libero sulle antiche pianure verdissime fino al mare. Ci mancherà tanto che dovremo tornare qui molto presto. Fino a quel giorno, faremo tesoro di questo bellissimo Irish blessing , per ricordare in modo esatto la meravigliosa terra di Erin e il suo spirito magico. Yes !
May the road rise to meet you,
May the wind be always at your back,
May the sun shine warm upon your face,
The rains fall soft upon your fields and,
Until we meet again,
May God hold you in the palm of His hand.